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Июнь
2021

Trieste, condannata a 10 anni per omicidio la moglie di Fulvio Visintin

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TRIESTE. La settantenne triestina Loredana Crasso è stata ritenuta responsabile dell’omicidio del marito Fulvio Visintin, morto con una coltellata all’addome il giorno di Pasqua del 2018 nella sua casa di via dei Vigneti a Servola dopo una lite con la moglie.

Il gup Massimo Tomassini l’ha condannata a 10 anni di reclusione.

Crasso, difesa dall’avvocato Silvano Poli, è stata giudicata ieri pomeriggio con il rito abbreviato. Il gup ha riconosciuto le attenuanti generiche, prevalenti su tutte le aggravanti: in particolare quella dell’omicidio «del coniuge», che di per sé comporterebbe 21 anni di carcere. Le attenuanti hanno dunque portato la pena a un livello minino. L’avvocato, che ora attende le motivazioni della sentenza, preannuncia l’intenzione di appellarsi in Corte di assise.

Una sentenza tutt’altro che scontata: in questi anni di accertamenti investigativi, di perizie e di consulenze tecniche, la dinamica dell’accoltellamento non è mai stata chiarita fino in fondo; tanto che si era addirittura profilata l’ipotesi che Visintin potesse essersi suicidato davanti alla moglie durante il litigio. Un dubbio che ieri incombeva fino all’ultimo.

Come peraltro fa notare l’avvocato Poli, sul manico del coltello con cui l’uomo era stato ucciso non sono comparse tracce di Dna riconducibili a Crasso, ma solo quelle della vittima. Un dato, questo, emerso dall’analisi del consulente tecnico ingaggiato dal pm Pietro Montrone (il magistrato che ha diretto l’indagine), la ricercatrice del Dipartimento di scienze mediche dell’Università di Trieste Solange Ciglieri.

Gli interrogativi su cosa fosse davvero successo in quella casa la sera di Pasqua del 2018 trasparivano fin da subito: a poche ore dal fatto la settantenne si era accollata la responsabilità dell’omicidio, dicendo alla polizia e al pm di essere stata lei. Una confessione a tutti gli effetti, ritenuta però non convincente nel corso delle verifiche giudiziarie.

Era stata proprio la perizia psichiatrica di Mario Novello, ex responsabile del Dipartimento di salute mentale dell’Ass 4 Medio Friuli, a mettere seriamente in discussione questa tesi. Lo psichiatra (nominato dal giudice) riteneva che Crasso, dopo aver scoperto il marito pieno di sangue, potesse essere stata travolta da un enorme choc emotivo e da un profondo senso di colpa capaci di farla ritenere responsabile del gesto del coniuge. Un senso di colpa dovuto ai continui litigi (l’uomo aveva un’amante alla quale trasferiva sistematicamente denaro) e al difficile rapporto di coppia che ormai si trascinava da anni. Lo choc, così si era detto, poteva aver indebolito le capacità critiche della donna. E il senso di colpa l’avrebbe spinta a confessare qualcosa che forse non aveva fatto. Novello inoltre riteneva che la donna – affetta da un deficit visivo e da una disfunzionalità agli arti – nelle sue condizioni difficilmente avrebbe potuto colpire a morte il coniuge affondando 15 centimetri di lama. Una ricostruzione, questa, ribaltata però da un’ulteriore perizia del giudice, secondo cui la donna era invece nelle condizioni per aggredire il marito. E anche le capacità visiva della settantenne, scriveva la perizia, «è compatibile con l’afferramento di un coltello»




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