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Июнь
2021

Minorenne fu stuprata, ma non in gruppo: inflitti nove anni al violentatore

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UDINE. Ci fu la violenza sessuale consumata all’ex caserma Piave il 28 agosto 2019, ma non lo stupro di gruppo, che la stessa vittima, una minorenne albanese, aveva raccontato di avere subito il mese prima in un luogo imprecisato di Udine.

Dei tre imputati, tutti in carcere - due in custodia cautelare per questa causa e uno in esecuzione pena per reati di droga -, quindi, soltanto uno, il 25enne pakistano Dilawar Abbas Jutt, è stato riconosciuto colpevole e dovrà ora risarcirle i danni: 9 anni di reclusione e 50 mila euro alla madre della ragazzina che, quale esercente la potestà genitoriale, si è costituita parte civile con l’avvocato Consuelo Zanini.

La sentenza è stata emessa giovedì 24 giugno, al termine di oltre tre ore di camera di consiglio, dal tribunale collegiale presieduto dal giudice Paolo Alessio Vernì (a latere, i colleghi Roberto Pecile e Camilla Del Torre).

Assolti «perché il fatto non sussiste», benché con la formula del dubbio per insufficienza o contraddittorietà delle prove, gli altri due pakistani, Sulman Muhammad, 24 anni, e Naeem Muhammad, 37 anni, cui il pm Letizia Puppa aveva chiesto fossero inflitti 10 anni e 8 mesi, oltre che lo stesso Jutt, per il quale era stata proposta una condanna a complessivi 12 anni.

Presenti in aula, hanno entrambi accolto con sollievo il verdetto e stretto in un abbraccio l’amico, che invece, con l’avvocato Sara Barbesi, giunta da Verona in sostituzione del collega Emanuele Luppi, attenderà ora il deposito della motivazione, per presentare appello.

L’udienza si era aperta con le vibranti arringhe dei difensori. Minimo comun denominatore, la non credibilità della parte offesa, per le «tante, diverse e inconciliabili» versioni date dei fatti alla polizia. Una storia, quella della ragazzina, segnata dal consumo di sostanze stupefacenti e da problematiche familiari, sociali e psicologiche – ha osservato l’avvocato Barbesi – culminate anche in atti di autolesionismo. E una denuncia, la sua, priva di riscontro medico.

«Disarmanti», a dire dell’avvocato Elisa Guerra, di Udine, le parole che il proprio assistito, Naeem, aveva adoperato per difendersi: «Semplicemente “non sono stato io”», ha scandito in aula, suggerendo di considerare l’episodio di luglio in cui la minorenne aveva ritenuto di coinvolgerlo piuttosto il «frutto di un’allucinazione o di un falso ricordo», come spesso accade «quando si assumono farmaci e droghe in gran quantità».

Se questo è il ritratto della denunciante, l’avvocato Esmeralda Di Risio, di Pordenone, non ha esitato allora a sollecitarne l’audizione e una perizia psichiatrica, ricordando come fossero stati gli stessi testi dell’accusa a «sconfessarne» le parole, e contestando agli inquirenti di non avere svolto tutti gli accertamenti che un’accusa del genere avrebbe richiesto e di non avere quindi raccolto elementi sufficienti a provare la colpevolezza degli imputati. Tutti rilievi, quelli sollevati dal collegio difensivo, che il tribunale in parte recepito. —




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