Pericolo di autostrade interrotte
Con l'uscita di scena dei Benetton, la rete torna in mano pubblica. Ma la gestione da parte dello Stato rischia di rallentare le decisioni e di coprire i costi degli investimenti necessari con aumenti delle tariffe. L'esperienza di Anas con la A 24
deve insegnare.
È l'8 aprile 2020. L'Italia è in pieno lockdown quando collassa un ponte ad Albiano Magra, in provincia di Massa Carrara, tra Toscana e Liguria. Sono passati meno di due anni dalla tragedia del Morandi, a Genova. E ancora una volta un viadotto viene giù. Per fortuna, in questo caso, il bilancio è solo di due feriti: paradossalmente il Covid-19 ha evitato un'altra strage. «Poteva essere una tragedia se avessimo avuto il traffico dei giorni ordinari», ammette l'allora presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi.
E nell'occasione, però, non c'entra la società Autostrade per l'Italia dei Benetton: la gestione è infatti affidata all'Anas, la società pubblica che ha il compito di gestire le strade e le autostrade di proprietà dello Stato, nonché di provvedere alla loro manutenzione ordinaria e straordinaria. Anas, per intenderci, è un gigante che controlla 30 mila chilometri di tratti, con poco meno di 7.000 dipendenti, producendo ricavi per due miliardi di euro all'anno e movimentando, sotto forma di investimenti per i cantieri, un miliardo e 400 milioni di euro. E per l'aumento dell'impegno ha portato a termine un recente piano assunzioni di oltre 1.100 unità.
Certo, dopo l'addio dei Benetton non è scontato che Anas possa rientrare nel nuovo progetto per le autostrade. Anzi, la direzione sembra quella opposta. La rete, infatti, è stata rilevata da Cdp Equity, Blackstone infrastructure partners e Macquarie asset management, che deve ancora decidere come strutturare la concessione. Ma la storia del ponte di Albiano Magra racconta come ci sia poco da esultare per il passaggio dalla gestione privata a quella principalmente pubblica della rete autostradale. Sarà senz'altro contento l'ex ministro grillino, Danilo Toninelli, alfiere dell'estromissione di Aspi dalla gestione della rete autostradale.
Tuttavia, «il rischio è che la macchina decisionale pubblica possa appesantire i processi, come nuovi investimenti, la manutenzione, la messa in sicurezza stradale», dice a Panorama Roberto Impero, esperto di sicurezza stradale e ceo di Sma road safety. E non solo: gli italiani rischiano di pagare un conto salato: «Tutto questo difficilmente gioverà all'automobilista, anche perché ci saranno i pedaggi da incassare. Inutile illudersi che i cittadini pagheranno di meno. Del resto come come si pensa di recuperare l'investimento iniziale?». E, nell'aria, Impero sente odore di beffa: «Per il futuro, c'è il rischio che il contribuente si accolli i costi per gli investimenti straordinari, quelle delle grandi opere, attraverso un prelievo fiscale. Insomma, è complicato salutare l'operazione con entusiasmo».
Sulle prospettive della rete autostradale, Angela Bergantino, presidente della Società italiana di economia dei trasporti e della logistica e docente all'Università di Bari, evidenzia un'ulteriore questione: «Bisogna capire se saranno fatte modifiche all'organizzazione della società. Se il socio di maggioranza deciderà di cambiare la struttura della concessione, se deciderà di ripartire la rete in più lotti o lasciarla com'è ora».
Per capire qualcosa di più sui problemi della gestione pubblica, basta analizzare il percorso di Anas, che ha sotto il proprio controllo, come detto, 30.000 chilometri di rete stradale e autostradale. E chi finanzia? Lo Stato, ovviamente, attraverso il contratto di programma siglato con il Mit. L'ultimo, relativo al periodo 2016-2020 e successivamente rimodulato, prevedeva un investimento di 29 miliardi di euro tra manutenzione programmata, adeguamento e messa in sicurezza, a cui si sono sommate nuove opere e completamenti itinerari. Ai fondi iniziali si sono aggiunti, così, successivi stanziamenti per un totale di 36 miliardi.
Un trasferimento importante, dunque, che fa capo alle casse pubbliche. Ciononostante l'ultimo bilancio dell'Anas è stato chiuso con un rosso di 169 milioni di euro. Dalla società, però, puntualizzano che il risultato è «causa di un evento straordinario, non riconducibile alla gestione operativa. In assenza di tale fenomeno il bilancio di Anas avrebbe chiuso in utile, in linea con gli obiettivi e il percorso sviluppato in questi anni dall'azienda e con la capacità strutturale che Anas ha di generare reddito».
Precisa la società a Panorama: «L'evento, estraneo alla gestione Anas, fa riferimento alla complessa situazione creditoria con la società Strada dei Parchi (affidataria della concessione di gestione, completamento e adeguamento delle Autostrade A24 e A25) che, come noto, oltre ad aver beneficiato negli ultimi anni dei posticipi, a seguito di provvedimenti governativi, della scadenza dei ratei concessori annui dal 2015 al 2018 alla fine della concessione non ha, a oggi, provveduto al pagamento della rata 2019, scaduta a marzo 2020, tutto ciò, in assenza di una forma di garanzia da parte del ministero concedente Mit, ha comportato per Anas un accantonamento a fondo svalutazione crediti per oltre 174 milioni di euro».
Una situazione finanziaria complicata, che potrebbe ingarbugliarsi ancora di più: nel frattempo l'amministratore delegato, Massimo Simonini, voluto da Toninelli durante il governo gialloverde, è dato in procinto di lasciare l'incarico. Secondo i rumors, la sua sostituzione rientra nella strategia di cambiamento del «metodo Draghi». Un'opportunità offerta anche alla scadenza naturale del cda.