La grande staffetta, un docufilm per Alex Zanardi
PADOVA. Sarà nelle sale italiane il 28, 29 e 30 giugno, distribuito da Adler Entertainment, il docufilm “La grande staffetta”, che un anno dopo l'incidente di Alex Zanardi racconta la staffetta lunga quanto l'Italia degli atleti paralimpici appartenenti a Obiettivo3, la onlus da lui creata.
E’ stato realizzato proprio in quei giorni a poche ore dall'impatto dell'ex pilota e campione olimpionico contro un automezzo sulla strada che da Pienza porta a San Quirico d'Orcia.
“La grande staffetta”, diretto da Francesco Mansutti e Vinicio Stefanello e prodotto da Obiettivo3 e FilmArt Studio di Barbara Manni, regala a tutti uno sguardo di forza e speranza verso un futuro che in questo momento si presenta così incerto.
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Dal Nord al Sud per unire l’Italia e ripartire insieme
Cinquantuno atleti attraversaro venti regioni in handibike, bicicletta e carrozzina olimpica per costruire un futuro nuovo
Attraverso l'Italia: 51 atleti, 20 regioni per ripartire tutti insieme. Rappresentano l'Italia che vuole rialzare la testa. E dimostrano che uniti, si può resistere e lottare per costruire un nuovo futuro. È questo il senso del viaggio degli atleti di Obiettivo 3.
Un lungo e impegnativo viaggio che attraversa tutto lo Stivale, per incontrare e rappresentare idealmente tutti gli italiani, e unire l'estremo Nord all'estremo sud della Penisola, in handbike, in bicicletta e in carrozzina olimpica, alcuni dei nostri più forti atleti paralimpici si sono messi in gioco per dimostrare, ancora una volta, che possiamo superare le avversità e i nostri limiti.
Ma anche che si può rinascere e che bisogna desiderarlo fortemente. È una lunga corsa, una lunga staffetta per esserci e per fare la propria parte. Per ribadire il valore dell'essere comunità. Per dare un segno di speranza e allo stesso tempo di resistenza. Perché è la voglia di vivere che ci rende forti. È la consapevolezza che possiamo farcela che ci spinge a guardare avanti. È la voglia di cambiare ci rende ancora più determinati per un nuovo futuro. Per affermare che insieme ce la faremo, sostenendoci l'uno con l'altro, passandoci il testimone di mano in mano.
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Dal quel venerdì 19 giugno 2020 quando la vita è sembrata fermarsi
L’impresa è diventata ancor più importante e il traguardo un nuovo inizio
Sono le ore 9 di venerdì 12 giugno. Siamo in piazza Garibaldi a Luino. Ed è da qui che l'avventura ha inizio: quel testimone, di mano in mano, dovrà arrivare a Leuca. Ancora non si sa: la strada non sarà solo lunga, ma anche dolorosa.
Intanto, il giorno dopo, da Levico Terme parte anche la seconda tranche della staffetta. Mentre martedì 9 giugno da Saluzzo parte il terzo troncone, quello dell'Ovest. Nel frattempo la staffetta, mano a mano, prende forma e delinea il suo percorso, il suo modo di essere: un lungo viaggio in bicicletta e handbike che segna un incontro tra i partecipanti, il territorio e i paesaggi (anche umani) attraversati. Un viaggio in cui prevale la gioia di pedalare insieme per uno scopo comune. Un viaggio che celebra la voglia di vivere, di resistere e di guardare con speranza al futuro.
Strada facendo gli atleti impegnati nella staffetta, diventano un simbolo. La gente li applaude. I sindaci li accolgono nei punti stabiliti per il cambio di testimone. Naturalmente anche Alex Zanardi partecipa con la sua handbike nelle tappe prestabilite. E' sempre più felice di questa iniziativa. Quasi non sta nelle pelle tanta è la sua voglia di montare in bici. E c'è di più.
Di giorno in giorno, è sempre più chiaro che questo è anche un viaggio del cuore. Quello che tutti vorrebbero fare. Forse anche per questo alcuni ciclisti si uniscono alle tappe, e il tutto diventa anche un piccolo rito spontaneo, un pedalare assieme, come il popolo del ciclismo è abituato a fare.
E' un viaggio che sembra senza fretta, fatto solo per incontrare la gente e l’Italia. Nessuno sospetta ciò che sta per accadere.
E' venerdì 19 giugno e la notizia è come una bomba che esplode così forte da lasciare senza parole. Alex Zanardi è gravissimo. D'improvviso tutto sembra come ovattato, lontano. Al chilometro 39+800 della Strada provinciale 146, a Pienza (Siena), Alex, con la sua handbike si è scontrato contro un camion. Poi, l'elicottero. La corsa in ospedale di Daniela e Barbara. I frammenti di notizie. Il primo, disperato, comunicato. Sembra che d'improvviso sia calato il buio. Tutto sembra perso. C'è smarrimento. Incredulità. Dolore. E tutto il mondo è come sospeso.
La notizia è su tutti i telegiornali e i quotidiani. Tutti ne parlano: il campione, il mito Zanardi ancora una volta difronte ad un destino apparentemente senza scampo. Tutto sembra finito e inutile. I ragazzi e le ragazze della Staffetta Tricolore ricorderanno per sempre quegli attimi. In cui è accaduto. In cui hanno saputo. La durezza del colpo per loro è stata inimmaginabile.
Quasi impossibile da esprimere con le parole. Nel bel mezzo del viaggio, nella frazione di un secondo, la vita del loro capitano e amico, di quello che per loro era il fratello da imitare, di quello che alcuni di loro considerano un secondo padre, era appesa ad un filo. E a loro sembrava non restasse altro che stringersi e farsi forza l'un l'altro. Quelle mani giunte. Quelle preghiere. Quei Forza Alex che hanno inondato la chat della staffetta erano grida disperate.
Che fare? Cosa pensare? Poteva finire così. Nessuno avrebbe avuto nulla da dire. Anzi. Ma non è andata così. Qualcuno ha detto “No! Adesso è il momento di essere duri. Adesso è il momento di lottare ancora più forte!”. Qualcun altro ha ribadito che lui sarebbe partito lo stesso per fare la sua tappa. Con la morte nel cuore ma l'avrebbe corsa. Perché il testimone doveva andare avanti. Perché così avrebbe voluto Alex.
Nelle stesse ore anche Daniela, la moglie di Alex, e il figlio Nicolò, dall'ospedale, hanno mandato il loro messaggio: chi voleva, chi se la sentiva, poteva continuare. Obiettivo 3 avrebbe accompagnato e compreso la posizione di ognuno, quelli che sarebbero andati avanti e quelli che si sarebbero fermati. Era questo l'insegnamento di Alex.
Nessuno si è fermato. La staffetta ha ripreso. Correvano per Alex. Ogni giorno una tappa. Ogni giorno una conquista. Attraverso il Lazio. Il Molise. E tutta la Puglia. Ogni giorno un passo verso una meta che sembrava impossibile e si avvicinava sempre di più. A combattere contro il caldo infuocato. A lottare contro il dolore.
Per sventolare la bandiera e l'ideale di Obiettivo Tricolore. Con il cuore sempre gonfio di responsabilità e di dolore. A sostenerli gli applausi della gente. Il calore con cui venivano accolti agli scambi di testimone erano il segno di un affetto che li premiava e che andava anche oltre. C'era rispetto in quegli applausi.
C'era comprensione in quei sorrisi. Tutta la Puglia ha partecipato a questo sforzo. Perché ci vuole coraggio per pedalare con l'handbike. Ci vuole un cuore grande per resistere e andare avanti.
Nella penultima tappa, quella in cui avrebbero dovuto esserci Alex e il “presidente” Pierino Dainese, sono arrivati in tantissimi. Non era previsto ma hanno attraversato l'Italia per esserci. Per resistere tutti assieme. Poi, tutti hanno fatto l'ultimo sforzo. Sono arrivati a Leuca.
E lì il pianto e gli abbracci non si possono descrivere. Avevano fatto qualcosa di epico. Erano andati oltre al destino. Per questo era giusto festeggiare con le lacrime agli occhi. Avevano corso per loro stessi, per tutti noi e per il loro capitano e maestro da cui avevano ricevuto il testimone. Erano partiti forti, ora lo erano molto di più. Per Alex e con Alex.
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Un anno dopo Alex Zanardi lotta, trasferito a Vicenza
Il figlio Niccolò che con la mamma Daniela non l’ha mai lasciato: «Noi non perdiamo le speranze»
Un anno senza Alex, un anno intero provando a immaginarlo in questa lotta per la vita che sta combattendo su un letto d’ospedale, in una posizione per lui innaturale. Niente avversari, niente muscoli tesi, nemmeno una goccia di sudore, quello che lo faceva sorridere ed era il sorriso di tutti.
Alex Zanardi dorme ormai da un anno, da quando in sella alla sua handbike è finito contro un camion sulla provinciale tra Pienza e San Quirico nel Senese.
Era il 19 giugno dell’anno scorso. Dopo dodici mesi, cinque ospedali e oltre una decina di interventi, la fiammella della vita è ancora forte.
Ora Alex è ricoverato all’ospedale di Vicenza, Unità Gravi Cerebrolesioni. «Adesso è fuori dal letto, l’hanno messo in poltrona», racconta Franco Chioffi, direttore della Neurochirurgia di Padova, che l’ha avuto in cura sei mesi.
Mettere in poltrona un paziente di questo tipo significa che le sessioni di riabilitazione vengono affrontate non più soltanto da posizione supina. In questa sfida lunga e fatta di piccolissimi progressi, è una grande conquista.
Accanto a lui ci sono sempre la moglie Daniela Manni e il figlio Niccolò. Superata la paura, c’erano tante aspettative ma il percorso è lungo, richiede tempo, pazienza.
«Come sta? Non lo sappiamo. È sempre lì. Nessuna novità, niente di niente. Siamo anche un po’ stressati per questo, non ci sono grandi cambiamenti. Noi non perdiamo le speranze, la fibra è buona», dice il giovane, un anno dopo la mano nella mano pubblicata su Instagram e quel “io questa mano non la lascio”. Non l’ha lasciata mai neanche la moglie, sempre al suo fianco sia al San Raffaele di Milano, che nella Neurochirurgia di Padova. Lì Alex è stato operato quattro volte, per due problemi di tipo cerebrale.
«Con il collega Piero Nicolai di Otorinolaringoiatria li abbiamo risolti. Era importante farlo perché ostacolavano la piena ripresa», spiega il professor Chioffi. Nel reparto padovano hanno vissuto anche la prima fase della riabilitazione, affrontata con strumenti medici ma non solo.
Tutti ricordano ancora le note delle canzoni di Venditti che uscivano dalla sua camera, quando la moglie Daniela veniva a trovarlo. Erano le loro canzoni, lei gliele faceva ascoltare per cercare di innescare una reazione.
Alex osserva, a volte accenna persino un sorriso. È vigile ma l’interazione è ridotta al minimo. Per questo i familiari provavano a stimolarlo con la musica, con le canzoni che lui e Daniela hanno ascoltato per una vita insieme. Non solo speranze e preghiere per la famiglia Zanardi.
C’è un’inchiesta che corre e il primo step giudiziario non è stato favorevole. La Procura di Siena ha chiesto infatti l’archiviazione per l’incidente del 19 giugno scorso, non ravvisando “alcun nesso causale tra la condotta del conducente del tir e la determinazione del sinistro stradale”.
Il professor Dario Vangi, ingegnere meccanico e consulente della Procura, ha stabilito che lo sconfinamento della mezzeria da parte del camion è stato minimo. Nelle sue conclusioni l’ingegnere ha confermato che il “sinistro si era verificato non a causa dell’invasione di corsia ma per la presenza del veicolo”, una sfumatura che alleggerisce di molto la posizione del camionista.
Una battaglia anche giudiziaria, quindi. Con il suo avvocato padovano Carlo Covi che non intende mollare: «Noi crediamo nella giustizia e per questo andremo avanti per la nostra strada. Il messaggio di Alex è sempre lo stesso da anni e rappresenta il raggio di sole che ha illuminato la sua vita e donato tanta speranza a chi l’aveva persa: mai arrendersi. Qualunque cosa accada, la vita continua».
Sempre avanti, nonostante tutto. Questo ha fatto questo l’ex campione di Formula 1, rimettendosi in gioco anche quando sembrava tutto perduto. Il 23 ottobre prossimo compirà 55 anni.
Dopo tanti successi, dopo le cadute, dopo le sfide impossibili, Alex sta affrontando ora il momento più duro. Era abituato a faticare, a correre, a far impennare le pulsazioni del suo cuore grande. Ma da quel 19 giugno tutto è cambiato. Adesso anche restare seduto su una poltrona è come vincere una medaglia d’oro.
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Bebe Vio, portabandiera alla Paralimpiadi : «Quel tricolore rappresenta Alex Zanardi»
La schermitrice di Mogliano «L’inno di Mameli è la mia canzone preferita e lui è il primo atleta con disabilità che ho conosciuto»
Si fa largo una filastrocca intrigante con vista su Tokyo: “V” come vittoria, “V” come Viviani e Vio. Sì, quel segno che tanti sportivi fanno con le dita. Sì, quel segno che sperano di riproporre presto gli alfieri Elia Viviani e Bebe Vio.
Manca un mese alle Olimpiadi e non c’è occasione migliore della consegna della bandiera per rendertene conto. Il Capo dello Stato Sergio Mattarella l’affida agli olimpici Elia Viviani e Jessica Rossi, nomi e cognomi legati a doppio filo allo sport veneto: lui veronese di Vallese di Oppeano con trascorsi nella Marca, lei bolognese ma che s’allena a Ponso.
Dovranno attendere ancora 60 giorni i portabandiera paralimpici, la cui rassegna scatterà il 24 agosto: Bebe, la moglianese più famosa al mondo, riceve il tricolore con il nuotatore Federico Morlacchi. Al Quirinale è già tempo di sogni, emozioni, commozioni.
E le parole della 24enne schermitrice, già alfiere nella cerimonia di chiusura di Rio, non passano inosservate. Sembrano un riassunto della sua vita. «Spero di non farla cadere», esordisce Bebe, oro individuale e bronzo a squadre nel fioretto alle Paralimpiadi di Rio, «Quella bandiera è qualcosa di magico, rappresenta la bellezza di questo Paese e la fortuna di farne parte, la squadra pazzesca che siamo».
I pensieri corrono veloci nella mente, inevitabile la dedica a chi da un anno combatte una battaglia durissima a seguito di un grave incidente stradale: «Quella bandiera mi ricorda la mia prima maglia azzurra a 14 anni. Mi ricorda la mia canzone preferita: l’inno di Mameli. Quella bandiera rappresenta Alex Zanardi, il primo atleta con disabilità che ho conosciuto. Non vedo l’ora: portare la bandiera è il sogno di una bambina che verrà qui fra qualche anno al posto mio. Sarà l’emozione più bella di tutta la mia vita».
Bebe stupisce sempre con le parole, prim’ancora di stupire in pedana: l’obiettivo per il Giappone è risaputo, abbinare la conferma del titolo individuale con il primo oro a squadre. Ma il sogno del bis è pure nella testa di Viviani, olimpionico in carica nel ciclismo su pista: «Sognavo questo ruolo dopo l’oro a Rio», le sue parole, «Ne sono orgoglioso, porterò con me questa gioia per sempre. Vivremo l’Olimpiade della ripartenza con una determinazione extra».
S’accoda la tiratrice Rossi, che incantò tutti con l’oro nel trap a Londra 2012: «Questa bandiera è l’Italia che si sta rialzando, che non ha mai mollato con pazienza e sacrificio». Come Alex Zanardi: non arrendersi mai.
Il tutto davanti a una delegazione di 200 atleti e tecnici. Con il presidente Mattarella a indicare la rotta: «Le Olimpiadi del post-pandemia portano un carico di speranza che dà un valore speciale allo sport».
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«Ragazzi: Alex siete voi»
Il coraggio e la forza di Daniela Manni alla fine della Grande Staffetta
Non servono tante parole, soprattutto quando il cuore e la mente sono altrove, stanno lottando contro un dolore immenso. Eppure Daniela Manni, moglie di Alex Zanardi, ha avuto la forza e il coraggio di non fermare la staffetta e anzi di sostenere gli atleti che vi stavano partecipando perché l'esempio del suo Alex non sia vano. Ora come allora.
Ecco il messaggio affidato alla fine del giro d’Italia voluto dal marito e purtroppo da lui non concluso.
“Ragazzi siete eccezionali. Siete ripartiti con la morte nel cuore, siete arrivati in fondo con la commozione, ma con la gioia vera. Alex siete VOI. Grazie di cuore. Oggi è una gran bella giornata.”
Daniela Manni (moglie di Alex Zanardi)