Alla Fondazione Prada giganteggia Domenico Gnoli. Il più grande di tutti: pittore, scenografo, illustratore
Letti, poltrone, tessuti, drappeggi, capelli con onda e riccioli, scarpe, corsetti. Tutto visto dalla sua prospettiva. Dettagli ingigantiti di un iperrealismo che dialoga con la pop art e con il minimalismo. Incantano i dettagli di monopetto spina di pesce con pochette, il pizzo intricato di una tovaglia, il bottone di madreperla, di Domenico Gnoli, il più grande di tutti, in tutti i sensi. Prima scenografo e da Londra con la commedia shakespeariana Come vi piace sbraca a New York. Poi Illustratore, pittore e anche scultore ( la madre era una ceramista) vive fra Parigi, Roma e poi si isola a Maiorca, nomade di spirito. Leone d’oro alla Biennale nel 1964, nel suo autoritratto a parole si descrive così: “Ho sempre lavorato [come pittore] come adesso, ma non lo si vedeva, perché era il momento dell’astrazione. Solo ora, grazie alla Pop Art, la mia pittura è diventata comprensibile. Mi servo sempre di elementi dati e semplici, non voglio aggiungere o sottrarre nulla. Non ho neppure avuto mai voglia di deformare: io isolo e rappresento. I miei temi derivano dall’attualità, dalle situazioni familiari della vita quotidiana; dal momento che non intervengo mai attivamente contro l’oggetto, posso avvertire la magia della sua presenza”. Oggi un suo “dettaglio“ vale milioni.
La morte precoce a soli 36 anni, per un tumore fulmineo, lo ha consegna in quel olimpo speciale dove trovano posto solo i più bravi. Il suo testamento: “Sono nato sapendo che sarei stato pittore, perché mio padre, critico d’arte, mi ha sempre presentato la pittura come l’unica cosa accettabile. Mi dirigeva verso la pittura italiana classica, contro cui reagii ben presto, ma non ho potuto dimenticare il sapore del Rinascimento. Curatore Germano Celant è sempre una garanzia. Da vedere assolutamente, c’è tempo, fino al 27 febbraio 2022.
L’onda lunga dell’arte porta alla Fortezza da Basso, Biennale di Firenze, dove la poliedrica Rossella Gilli, pittrice, scultrice e incisore trasferisce la sua artigianalità nella “Big Wave” che monta schiumosa, realizzata in vetroresina scintillante, e attinge così alla materia dell’ ”Eternal Feminine”. L’ArtWeek a Roma inaugura con Mons, genovese, greco, argentino, siciliano, svizzero, un mistosangue, ma dice di sé di essere un vaso in frantumi. E di non essere stato ancora rincollato. Fa un mucchio di cose, grafico, si occupa di comunicazione ed immagine coordinata, di estetica e fruizione museale. Anche gallerista, nel suo atelier (intende dove si fabbrica l’arte), la Mons Art Stage in Via di San Pantaleo, ospita la mostra Profondo Greco (scritto con l’o di Omega) dove le artiste Georgie Tseri, Aliki Rigou e Daphne Petrohilos dialogano fra di loro e dove le arti si incontrano: dalla musica alla poesia, dalla pittura alla scultura alle performance
Mons, all’anagrafe Maurizio Montoneri, sperimenta anche come Dj e da circa un anno e mezzo lavora con Julian Lennon, figlio di quel mostro sacro di John, in un progetto musical/divulgativo intitolato Merry Go Round. Perché a entrambi piace raccontare con nuovi linguaggi.
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