I trent’anni del Piccolo in Istria e Quarnero: una scommessa sulla Storia
foto da Quotidiani locali
TRIESTE. Le grandi trasformazioni che, alla fine degli Anni 80, stavano scuotendo il mondo comunista e, in particolare la Jugoslavia, accelerate dalla caduta del muro di Berlino nell’89, accrebbero l’interesse, dal punto di vista informativo, di esserci in Istria, Quarnero e Dalmazia.
Vista la nostra posizione geografica era un dovere per capire quanto stava accadendo. Un’esigenza che mi diede l’opportunità di ripresentare un progetto che accarezzavo da anni: creare un ufficio di corrispondenza in Istria.
Opportunità favorita anche da un cambiamento al Piccolo: il passaggio dal gruppo Monti al gruppo della famiglia Melzi Carignani.
L’idea di una presenza del Piccolo oltre confine non è mia. La ebbe, all’inizio degli anni Ottanta, l’allora direttore, Luciano Ceschia (all’epoca il giornale faceva parte del gruppo Rizzoli) che inventò la pagina del Nord Est che raccoglieva sia notizie dal resto della nostra regione, dall’Istria e dall’Austria. Pagina di cui fu responsabile Giorgio Pison.
Ma allora non si ipotizzava nemmeno di aprire una redazione oltre frontiera. I tempi non erano maturi. Però in quell’occasione venni mandato da Ceschia in Istria a “scoprire” la minoranza italiana.
Fino ad allora, salvo interventi episodici dettati per lo più da grandi fatti di cronaca nera o da contingenze politiche, quanto avveniva in Istria era quasi ignorato. Con la pagina del Nord Est “Il Piccolo” cominciò a fornire un’informazione più ampia su quella terra al quale ci legavano e ci legano storia, tradizioni, affetti.
In quegli anni dopo la morte di Tito nel 1980 in Jugoslavia erano fortemente avvertite esigenze di democratizzazione: anche la Comunità italiana oltre frontiera, rappresentata dall’Uiif (Unione degli italiani dell’Istria e di Fiume), organizzazione di stretta osservanza comunista, sentiva il bisogno di cambiare, di scrollarsi di dosso il peso di un’ideologia e l’eredità del passato riassunta nello stereotipo “italiano-fascista”.
La Comunità italiana lo fece con coraggio e determinazione sulla spinta del Gruppo 88, costituito da giovani intellettuali dal quale sono usciti i più importanti dirigenti attuali delle Comunità, come Maurizio Tremul, Furio Radin, Roberto Battelli e Franco Juri, per citare soltanto alcuni.
Il Gruppo 88 fu importantissimo perché “riabilitò” Antonio Borme, presidente dell’Uiif cacciato nel ’74 proprio per la sua battaglia per salvare quel po’ d’italiano che era rimasto in Istria e a Fiume.
Fu creata una costituente che trasformò la vecchia Uiif nell’Unione italiana. Le prime elezioni democratiche della Comunità si tennero nel ’91. Non solo, il Gruppo 88 fu parte importante nell’originare quel rilevante fenomeno politico che è la Dieta democratica istriana, partito regionalista e nato plurietnico che, nel bene e nel male, governa oggi la penisola.
Nel Novanta i tempi erano maturi per tentare l’avventura istriana. Confortati anche da un dato significativo: coloro che si erano dichiarati italiani al censimento del ’91 erano il doppio rispetto a dieci anni prima.
Certo, anche un effetto delle nubi che si andavano addensando sulla Federazione ormai morente, ma che testimoniava una presenza italiana più consistente.
Presentai l’iniziativa all’allora direttore Mario Quaia e all’allora amministratore delegato Eugenio Del Piero. La mia idea era quella di aprire un ufficio di corrispondenza, che vedevo bene a Pola o a Fiume.
L’editore volle invece creare una vera e propria edizione e la redazione venne aperta a Capodistria, per la maggiore disponibilità delle autorità slovene.
Mentre a livello centrale in Croazia, dominata dai nazionalisti dell’Accadizeta del neo eletto presidente Franjo Tudjman, l’iniziativa non era vista con grande favore.
Venne aperta la redazione con cinque giornalisti, grazie alla preziosa collaborazione e consulenza sia dell’Università popolare di Trieste, sia dell’Unione italiana.
La mia idea era quella di riunire in questa pagina o in queste pagine le notizie riguardando l’Istria e il Fiumano e quelle concernenti la diaspora giuliano-dalmata.
Mi pareva che mettere insieme le informazioni riguardanti i due tronconi di quel popolo lacerato dall’esodo potesse in qualche modo aiutare a ricomporre quel tessuto sociale.
Ma il direttore Quaia preferì tenere separate queste notizie. Gli esuli rimasero ospitati nelle cronache cittadine o nazionali e la minoranza nell’edizione istriana.
L’edizione istriana del Piccolo esordì con il numero zero il 15 gennaio del 1992, esattamente trent’anni fa. L’iniziativa ebbe un’ottima accoglienza oltre frontiera: furono vendute circa duemila copie al prezzo allora di trenta talleri sloveni o trenta dinari croati, Zagabria non aveva ancora introdotto la kuna.
La cifra era di circa 600 delle vecchie lire. Il 15 gennaio fu scelto perché era la data in cui i Paesi della comunità europea riconobbero ufficialmente l’indipendenza di Slovenia e Croazia.
L’edizione cominciò a uscire regolarmente dal 24 febbraio dello stesso anno con quattro pagine. Ma insorsero delle difficoltà: in primo luogo si toglieva spazio, in un mercato asfittico, agli organi di comunicazione della minoranza italiana, soprattutto il quotidiano “La Voce del Popolo”.
In secondo luogo, il mercato stesso non era in grado di assorbire un’iniziativa editoriale. Ricordo che nel 1992 la Slovenia prima, e fortunatamente per breve tempo, e la Croazia poi, molto più lungo e con gravi distruzioni, furono coinvolte nella guerra.
Si trovò così l’accordo con l’Edit (Casa editrice dei connazionali d’oltre confine) per realizzare il “giornale-panino” da diffondere oltre confine anche grazie ai contributi del governo italiano e della regione Friuli Venezia Giulia.
L’editore decise comunque di ridimensionare le ambizioni e l’edizione venne ridotta a una sola pagina, che venne peraltro inserita nella fogliazione del giornale destinato a Trieste, Gorizia e Monfalcone (precedentemente solo la prima pagina delle quattro dedicate all’edizione istriana veniva inserita nel giornale venduto al di qua del confine) e venne ridimensionata la redazione a Capodistria, che prima aveva cinque giornalisti, che si ridussero a uno, mentre io insieme al collega Alberto Bollis, allora mio vice, venimmo richiamati in redazione centrale.
Nonostante il parziale ripiegamento la bandierina ormai era stata piantata e sventola ancora. La pagina istriana è diventata una parte integrante e imprescindibile del nostro quotidiano.
Una pagina letta e seguita, come testimoniano le lettere che riceviamo in redazione. Una pagina che ha favorito una migliore conoscenza di quanto accade in Istria, e a Fiume e in Dalmazia ma, e questo mi sembra doveroso sottolinearlo l’inserimento di questa pagina nella quotidiana fogliazione ha accentuato l’interesse per tutto quanto riguarda la tematica del confine orientale d’Italia, per definire con un solo termine le questioni concernenti la minoranza italiana in Slovenia e Croazia, la minoranza slovena in Italia e la diaspora giuliano-dalmata.