Selva di Cadore, fuga dagli spazi stretti: la maestra Sara e l’assicuratore Davide approdano sulle Dolomiti
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Il lockdown in un mini appartamento decisivo nella scelta di vita. La coppia di quarantenni ha lasciato la Liguria per le amate montagne
SELVA DI CADORE. Nell’accoglierli, l’applicata della segreteria scolastica li ha salutati dicendo simpaticamente: «Ma chi ve lo fa fare di venire quassù?». Forse è giusto partire da qui per raccontare la storia di Sara Cucurnia e Davide Mori, 43 anni entrambi, che dall’estate 2020 vivono a Selva di Cadore, a 300 metri dalla materna dove Sara insegna. Una storia che, come altre, ribalta completamente le prospettive perché prende avvio da «una scelta – dice Davide - che a molti può sembrare anomala, ma a noi pare assolutamente normale».
In ballo ci sono i concetti di tempo, di ricchezza e povertà e il valore e il significato che essi assumono agli occhi delle persone. «Siamo sposati dal 2000 – raccontano Sara e Davide – e quattro anni fa abbiamo comprato una casa a Luni, l’ultimo comune di Levante della Liguria, al confine con la Toscana, da una signora di Belluno che ci aveva decantato la bellezza della sua provincia. Chissà, forse a livello inconscio le sue parole hanno avuto un ruolo sulla decisione che poi abbiamo preso a marzo 2020».
Sara e Davide oggi intendono mettere in vendita quella casa. Ma allora, assieme al lavoro fisso (lei insegnante di scuola dell’infanzia, lui impiegato in un’agenzia assicurativa), agli amici e famigliari e al mare a due passi, era uno dei punti fermi della loro vita. Eppure ai due mancava qualcosa e in quella mancanza si è insinuato il desiderio di andare a vivere in montagna, una dimensione che fin da bambini avevano assaporato e apprezzato.
MONTAGNE FAMILIARI
«Io ho parenti a Bressanone – racconta Davide – e sin da piccolo andavo su con i miei». «Io invece – gli fa eco Sara – andavo nella montagna piemontese». Come coppia avevano frequentato in particolare l’Alto Adige durante le vacanze estive. «Negli ultimi anni – dice Davide – dopo l’acquisto della casa, abbiamo più volte riflettuto sulla possibilità di spostarci in Alto-Adige, ma c’era un problema». «Essendo quelle di Bolzano e di Trento province autonome – continua la moglie – la mia domanda di trasferimento non sarebbe stata accettata. Avrei dovuto licenziarmi dalla scuola dov’ero e poi fare domanda di assunzione». Così nel dicembre 2019 prendono l’auto, fanno base nella zona di Quero-Vas («perché noi, gente di mare, preferivamo muoverci partendo da una quota più bassa») e iniziano a esplorare: Auronzo, Misurina, Cortina, Alleghe...
«Quando abbiamo fatto la curva – racconta Davide – sarà stato il lago illuminato, saranno state le luci natalizie, ma il cuore ha sussultato. Poi siamo saliti a Selva e lì ci siamo fermati». A marzo 2020, con il Covid imperante, chiusi nella loro casa di Luni di 38 metri quadrati, i due prendono la decisione: Sara inoltra la domanda di trasferimento a vari istituti comprensivi bellunesi, mettendo in testa quello di Alleghe che comprende anche Selva, Rocca e Livinallongo.
NUOVA VITA
«Ho pregato per tre mesi – dice la maestra Sara – e a giugno è arrivata la notizia. Il dirigente Paolo Zanin è stato gentilissimo e mi ha fatto scegliere il plesso e io ho optato per Selva. Intanto, quando a luglio eravamo saliti in cerca di un’abitazione, abbiamo riscontrato da subito la disponibilità della gente. Ci siamo rivolti alla pro loco Val Fiorentina che ci ha stampato un elenco con 30-40 nomi. Nel frattempo avevano mandato direttamente la comunicazione ai loro contatti dicendo che la nuova maestra cercava casa e nel giro di mezz’ora sono arrivate le prime telefonate e in quindici giorni abbiamo trovato un alloggio». È nel periodo precedente alla presa di servizio a scuola che Sara riceve l’accoglienza affettuosa, felice, ma anche incredula dell’applicata della segreteria.
Ma quindi, chi glielo ha fatto fare ai due coniugi liguri-toscani di lasciare un paese di ottomila abitanti a poche centinaia di metri dal mare per salire in uno da circa 500 ai piedi del Pelmo e del Cernera? «Luni – dicono – è un paese di campagna, non una grande città. Eppure lì facevamo una vita frenetica che non ci consentiva di dedicarci del tempo. Avevamo un sacco di servizi e di contatti, ma che alla fine ci toglievano spazio per noi. Il fatto che ci siano i centri commerciali o i cinema ti spinge a frequentarli, è come una tentazione. E dove hai più possibilità di fare, più sei spinto a fare e così finisci per lasciare da parte il tempo per te stesso e per la famiglia».
UN SOLO RIMPIANTO
Oggi Sara e Davide dicono agli amici, i quali, quando la temperatura ha iniziato ad abbassarsi, hanno chiesto loro se avevano rimpianti, che l’unico è non essersi decisi prima.
«Noi siamo rinati – dicono citando il motto nato in vallata dopo Vaia – nei posti dove rinascono le Dolomiti. I nostri centri commerciali sono le camminate al rifugio Città di Fiume e sull’Averau: essere immersi nella natura, andare ogni giorno all’una a fare una passeggiata, ti appaga molto di più. Sarebbe un controsenso lavorare dodici ore al giorno rinunciando a tutto quello che ci circonda».
Complice anche il periodo di emergenza, Sara e Davide non si sono mossi tanto: qualche capatina a Belluno e ad Agordo, ma Selva è rimasto il centro della loro quotidianità durante la quale hanno avuto modo di conoscere la comunità e non si sono mai sentiti soli. «Non direi che la gente qui è chiusa – sottolinea Davide – ma riservata: tutti sanno tutto di tutti, ma non c’è il chiacchiericcio. È bastato prendere due giorni di seguito il caffè al bar per entrare in relazione con il barista. Abbiamo anche toccato con mano un grande cuore: se sei in difficoltà ti aiutano».
Lo hanno visto quando cercavano casa, ma anche in altre occasioni: la disponibilità del dottor Allegro quando hanno avuto il Covid e non erano ancora iscritti all’anagrafe temporanea; la premura della verduraia che, nello stesso frangente, portava loro la cassetta davanti alla porta di casa; la sollecitudine degli impiegati comunali nello sbrigare la burocrazia; la cuoca dell’asilo che ha dato a Sara il libro con le ricette dolomitiche con cui si è poi cimentata. «Un aneddoto? - dice Davide - quando dovevo mettere le gomme invernali un paesano mi ha suggerito: “Chiama tizio e dì che ti ho mandato io. Non andare ad Agordo, perché mi pare tu sia ancora un po’ imbranato”».
NEVE E GHIACCIO
I due ammettono che l’ambientamento invernale avrebbe in effetti potuto essere più difficoltoso se l’abitazione non fosse stata vicina alla scuola, perché le strade tortuose, la neve e il ghiaccio sarebbero state delle insidie per loro che non vi erano abituati. «Con la neve che ha fatto l’anno scorso sarebbe stata dura – ricordano – chi viene qui deve tener conto delle possibili criticità».
Davide, intanto, che prima non vedeva di buon occhio il lavoro da casa, ha capito che è una risorsa per poter continuare a farlo anche nel suo nuovo paese. «Ho accettato – dice – a patto di svolgere solo mansioni di back-office. Non voglio più avere il telefono rovente dalle 8 alle 20. Quella non è vita».
Sara si è integrata bene nella nuova scuola e, con Davide, è diventata alunna del papà di un suo bambino che le ha insegnato a sciare. «Dov’ero prima – spiega – c’erano sei sezioni, qui ci sono una quindicina di bambini e tre insegnanti. Per me è l’ideale: avere meno colleghe e meno bambini mi dà modo di dare più valore alle relazioni con entrambi. Dove c’è troppa confusione si rischia di perdere di vista il vero obiettivo».