Così 15 mila ebrei in fuga dal nazismo raggiunsero Shanghai sulle navi del Lloyd
C’è un pezzo di Trieste a Shanghai, a formare una pagina di storia ancora poco nota. Anzi, quasi del tutto sconosciuta, se si escludono gli addetti ai lavori. E, ancora una volta, al centro della trama c’è il Porto, che con questa città condivide tanti bivi della Storia.
Infatti da qui, dallo scalo triestino, oltre 15 mila ebrei riuscirono a sfuggire alle persecuzioni naziste imbarcandosi, tra il 1938 e il 1940, sui transatlantici del Lloyd Triestino alla volta della metropoli cinese. Erano prevalentemente austriaci e diedero vita, assieme ad altri rifugiati giunti in Cina via terra e attraverso altre rotte via mare, a un vero e proprio esodo, culminato con la nascita del cosiddetto Ghetto di Shanghai, un rifugio dal nazismo nel cuore dell’Oriente per migliaia di ebrei, che poi, terminata la Seconda Guerra Mondiale, migrarono verso Stati Uniti, Canada, Australia e Israele.
Nell’approssimarsi del Giorno della Memoria, con cui il 27 gennaio si commemorano le vittime dell’Olocausto, l’Istituto italiano di Cultura di Vienna organizza un convegno dal titolo “Vienna-Trieste-Shanghai” su questa pagina di storia che coinvolge direttamente Trieste, il suo Porto e la sua grande compagnia di navigazione. Un’iniziativa che probabilmente rappresenta solo l’inizio di un progetto più ampio, e che potrebbe sfociare in una mostra all’Ambasciata italiana a Vienna, in collaborazione con diversi partner, tra i quali il Museo della Comunità ebraica di Trieste Carlo e Vera Wagner e l’associazione Italian Liners. Almeno questo è l’obiettivo di Stefano Beltrame, ambasciatore italiano a Vienna, già Console generale d’Italia a Shanghai dal 2013 al 2018, che, grazie alla sua esperienza professionale, ha conosciuto e approfondito la materia da diversi osservatori: quello italiano, quello austriaco e quello cinese.
«L’ambizione è quella di realizzare un’esposizione il prossimo anno, quando mi auguro saremo usciti dall’emergenza pandemica - spiega Beltrame -. Si tratta, infatti, di una capitolo molto conosciuto in Austria e in Cina, e quasi per nulla in Italia, che merita di essere sviscerato e diffuso». Il motivo di questo “vuoto” di memoria? «Immagino che le ragioni siano diverse. In primis - spiega Beltrame - va detto che ci sono molte pagine dolorose e complicate del passato con le quali l’Italia deve ancora fare pienamente i conti. In seconda battuta ricordo che le operazioni di imbarco degli ebrei in fuga sulle navi del Lloyd per un periodo furono segrete, o meglio, non venivano pubblicizzate, visto che Mussolini aveva annunciato le leggi razziali, proprio a Trieste nel settembre del ’38. Infine - evidenzia il diplomatico - in base alla documentazione di cui disponiamo, tutti i passeggeri diretti in Cina erano stranieri, prevalentemente austriaci, e quindi qui non è rimasta traccia evidente di quei fatti nella memoria italiana. Tra il ’38 e il ’40, infatti, pur essendo già iniziata la discriminazione nei confronti degli ebrei anche in Italia, non vi fu un esodo di massa di cittadini italiani».
Se tra gli oltre 15 mila imbarcati a Trieste con direzione Shanghai vi fossero anche degli ebrei italiani, magari pure triestini, ad oggi non si sa, perché non ci sono testimonianze in tal senso, ma non è detto che, con ulteriori e approfondite ricerche, non possano emergere. Magari rilanciando la collaborazione con il Museo dei rifugiati ebrei di Shanghai, ampliato e ristrutturato nel 2020, che sorge nel cuore dell’ex Ghetto. Luogo che l’ambasciatore Beltrame ha conosciuto durante il suo mandato in Cina e da cui è nato il suo interesse verso questo capitolo di storia.
La domanda che è legittimo porsi è: perché Trieste e perché Shanghai come porti di partenza e destinazione di questa rotta della salvezza? Ebbene, Trieste in quanto storico scalo di riferimento dell’Austria e città con un’importante comunità ebraica. «Ci fu chi denunciò l’operazione a Trieste dopo il ’38, ma da Roma venne l’ordine di non sollevare il caso e lasciare che proseguissero gli imbarchi, che poi si estesero anche a Genova», spiega ancora Stefano Beltrame. Appare quindi plausibile che dietro vi fossero, oltre alle motivazioni umanitarie, anche altre di natura strategico-economica, visto che al vertice dello shipping italiano c’erano diverse figure di spicco della comunità ebraica e le traversate a bordo dei transatlantici muovevano migliaia di persone. Nonostante le leggi razziali, dunque, fino all’ingresso dell’Italia in guerra nel 1940, tali viaggi vennero consentiti, seppure sottotraccia.
Sul perché Shanghai, la risposta si trova nel fatto che nella città cinese esistevano le Concessioni, insediamenti internazionali caratterizzati da una sorta di extraterritorialità e autogestione delle potenze occidentali. Le Concessioni, tra l’altro, erano state risparmiate dalla guerra con il Giappone che imperversava in quegli anni, rappresentando una bolla di pace e benessere: è qui che arrivavano i rifugiati ebrei, grazie ai documenti per l’espatrio concessi dal Consolato cinese a Vienna, l’unico a rilasciarli, in particolare per mano del console Ho Feng Shan, che rischiò la vita e la carriera per salvare migliaia di ebrei concedendo via libera in grande quantità. Di fatto i visti non erano nemmeno necessari: il porto di Shanghai era l’unico posto al mondo che consentiva l’ingresso senza visto. In base ai Trattati fra la Cina e i Paesi europei, i documenti erano richiesti solo per prenotare i biglietti in partenza dall’Europa: con un biglietto del Lloyd si aprivano le porte della Cina.
Attraverso questa breccia in due anni passeranno circa 15 mila persone. Fino alla metà del ’40, quando i Transatlantici del Lloyd non poterono più circolare per non essere catturati. Una di queste navi, il Conte Verde, rimase bloccata a Shanghai per tutto il resto della guerra. Ma per migliaia di ebrei, la rotta Trieste-Cina rappresentò la salvezza, prima dell’inizio di una nuova vita.