Denise morì sul cavalcavia di Begliano, il difensore chiede l’assoluzione
Nel procedimento l’ipotesi di accusa è quella di omicidio colposo
MONFALCONE La modalità dell’incidente stradale, la crisi epilettica avvenuta durante il ricovero all’ospedale dov’era stato trasferito in condizioni serie, e anche un mese dopo. Un ulteriore aspetto «di particolare incidenza: il dosaggio del farmaco prescritto era insufficiente ad un’adeguata copertura».
Ha concentrato l’attenzione su questi elementi mercoledì in aula il difensore, avvocato Franco Crevatin, nel sostenere che il 36enne Manuel Satti non sia responsabile di quanto accaduto il 3 marzo 2016, sul cavalcavia di Begliano, dove perse la vita la monfalconese di 27 anni, Denise Niemis.
Nel procedimento l’ipotesi di accusa è quella di omicidio colposo, ai sensi dell’articolo 589 del Codice penale, vigente all’epoca del fatto, rispetto alla successiva legge n.41 che ha introdotto lo specifico omicidio stradale.
Se la ricostruzione della dinamica è stata accertata, il motivo per cui la Ka, condotta dal sancanzianese, abbia invaso la corsia opposta di marcia lascia spazio a interrogativi e dubbi. «Perché non dobbiamo ritenere che Satti abbia avuto una crisi?», ha detto il difensore.
Al termine dell’arringa, davanti al giudice monocratico Marcello Coppari, ha formulato la sua richiesta: in via principale l’assoluzione perché al momento del sinistro il conducente non era in uno stato cosciente, ossia per «incapacità di intendere e volere», soggetto comunque con alta probabilità ad una crisi epilettica; in subordine, l’assoluzione perché il fatto non costituisce reato.
L’udienza è stata dedicata all’arringa difensiva, dopo che, lo scorso maggio, era stato il pm a sviluppare la requisitoria, richiedendo la pena di 1 anno e 4 mesi, con le attenuanti generiche. L’avvocato Crevatin, prendendo atto della correttezza dei rilievi eseguiti dalla Stradale, s’è soffermato sulla «particolarità dell’incidente»: «La Ka procedeva in salita lungo una strada non particolarmente ampia e aveva invaso lentamente e costantemente la corsia di marcia opposta ad angolo stretto, tanto che il conducente del furgone se n’era avveduto spostandosi contro il guard-rail laterale».
Una dinamica «compatibile con l’intervento di un evento di epilessia», possibilità «definita “assoluta” dal comandante della Stradale», nell’ambito della testimonianza resa. Poi le cinture di sicurezza che gli occupanti non avevano allacciato. Il difensore ha fatto riferimento «alla norma allora in vigore» per rilevare: «L’obbligo di allacciarsi le cinture riguardava il solo conducente, non anche i trasportati maggiorenni», diversamente da quanto sostenuto dal pm.
L’avvocato ha fatto presente che il giovane «ha avuto una crisi di epilessia una volta ricoverato, ripetuta un mese dopo le dimissioni dal nosocomio». Ha spiegato che dopo il ritiro della patente, qualche anno prima, a causa di una crisi avvenuta durante il lavoro», era seguita una visita collegiale e la Commissione aveva stabilito la riconsegna.
Il tutto per affermare: «Quel giorno del 3 marzo Satti aveva la patente in regola, senza nascondere la propria malattia». Del resto, ha aggiunto, il fatto che la legge consenta la guida, con patente A e B, per auto e motocicli, a quanti sono affetti da epilessia, presuppone «l’assunzione di un certo rischio da parte della società». Crevatin ha osservato: «Satti nel momento dell’incidente non aveva la capacità di intendere e volere, com’è tipico in caso di epilessia». Ha concluso: «La modalità del fatto per come accaduto, le crisi intervenute dopo l’incidente ed il dosaggio insufficiente del farmaco sono situazioni che escludono in radice la responsabilità di Satti, il quale è pur esso stato vittima dell’evento».