Governo al capolinea: la posta in gioco
ROMA. L’unica certezza della crisi più surreale della storia repubblicana è nella lista delle cose che non possono attendere la sua soluzione. Nonostante si dia per certo l’arrivo degli scatoloni, a Palazzo Chigi la prossima settimana sono già convocati due nuovi incontri con sindacati e imprese per definire il decretone anticrisi di fine mese. Il paradosso vuole che Mario Draghi sia nella pienezza dei suoi poteri, e tale rimarrà fino all’eventuale decisione di Sergio Mattarella di sciogliere le Camere. Comunque andranno le cose, il Quirinale vuole che il governo metta a disposizione i dieci miliardi necessari a evitare il peggio in autunno agli italiani.
Ciò che invece in caso di elezioni si dovrà interrompere è il processo del piano nazionale delle riforme. La legge sulla concorrenza, approvata con grande fatica alla Camera e ora in discussione al Senato verrebbe meno, e con essa la garanzia della seconda rata di quest’anno del Recovery Plan. Se per ipotesi si andasse a votare in settembre, sarebbe teoricamente possibile il sì alla legge, non ai decreti di attuazione richiesti dalla Commissione europea per ottenere il finanziamento. E poi c’è la Finanziaria. La legge sul bilancio dello Stato dice che va approvata entro il 15 ottobre: non ci sarebbe il tempo materiale per farla votare né dal nuovo governo, né sarebbe possibile lo faccia il governo dimissionario. Questo spiega come mai, in tutta la storia repubblicana, non si sia mai votato in autunno. La conseguenza più probabile sarebbe l’apertura di una trattativa con l’Unione europea e una corsa contro il tempo per evitare l’esercizio provvisorio: il termine tassativo è quello del 31 dicembre.
Più dell’evento in sé, il rischio più grosso di una crisi aperta in estate è nella concatenazione degli eventi. La prossima settimana la Banca centrale europea varerà il primo aumento dei tassi da dieci anni a questa parte. Nella stessa riunione i diciannove governatori delle banche centrali dell’area euro sono chiamati a discutere dello strumento tecnico grazie al quale evitare che la nuova stagione dei tassi coincida con una divaricazione fra i rendimenti dei Paesi con i conti pubblici più solidi e quelli il cui debito pubblico più alto. Non solo l’Italia, la Spagna, Grecia e Portogallo, ma anche la Francia di Emmanuel Macron, che durante la pandemia ha sfiorato il cento per cento in rapporto alla ricchezza prodotta.
Di qui alla fine della legislatura l’Italia deve vendere sui mercati circa 350 miliardi di debito pubblico. Se - come probabile - la crisi aumentasse la sfiducia verso l’emittente Italia, i tassi di interesse necessari a finanziare l’Italia salirebbero ben oltre i livelli attuali, già superiori al tre per cento. Più che uno scenario simile a quello del 2011, scongiurato dalla mole di titoli in possesso della Banca centrale europea, i tecnici di Tesoro e Palazzo Chigi immaginano quello del 2018, quando i dettagli del contratto di governo fra Lega e Cinque Stelle fecero schizzare lo spread fra Btp e Bund oltre i 350 punti.
DL AIUTI: Lo sconto sulla benzina scade tra due settimane
Con le dimissioni di Draghi la prima cosa che rischia di saltare è il nuovo «decretone» di aiuti da 10 miliardi che il governo avrebbe dovuto varare a fine mese per proseguire coi sostegni a favore di famiglie ed imprese colpite da caro energia e super-inflazione. Senza questo nuovo dl il primo effetto sarà una impennata dei costi dei carburanti, proprio nella fase più calda della vacanze degli italiani: questo perché lo sconto delle accise oggi in vigore scade il 2 agosto. Nei piani del governo c’era l’intenzione di prorogare per altri due mesi lo sconto: se questo non sarà possibile prepariamoci a vedere benzina e gasolio a 2 euro e 30 al litro. Oltre a questo non verranno introdotti o confermati tutta un’altra serie di sostegni, in particolare a favore delle imprese, per coprire attraverso nuovi crediti di imposta i rincari dell’energia (per le famiglie gli aiuti sono già stati prorogati per tutto il terzo trimestre). E resterà sulla carta anche il taglio dell’Iva su un paniere di beni di largo consumo ipotizzato dal Mef. Secondo alcune fonti, anche se sarà dimissionario, il governo a fine mese varerà comunque un decreto, ma senza strafare.
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CONTRATTI: Aumento dei salari il tavolo per ora resiste
Senza un governo che ha davanti a sé un orizzonte di tempo sufficiente ampio anche tutti i tavoli già istituti o ipotizzati con le parti sociali restano ovviamente in bilico e quelli annunciati non decollano. Dopo aver incontrato i sindacati confederali e Confindustria il governo aveva già fissato altri incontri con le parti sociali nei giorni 21 e 22. Stando a fonti di governo, nonostante la crisi, questi tavoli sarebbe confermati. «Il dialogo e contrattazione sociale continuano» ha affermato ieri il ministro del Lavoro Andrea Orlando. «Noi ci siamo sempre, ma lui ci sarà ancora?» ha commentato a stretto giro il segretario generale della Uil Bombardieri alquanto scettico. I temi sul tavolo sono quelli noti: rinnovo dei contratti, salari, recupero dell’inflazione, lotta al precariato riforma delle pensioni. Tutti temi che richiedono «risposte immediate» chiedono da giorni i sindacati. Poi bisognerà capire il destino degli altri tavoli promessi al sindacati: sulle politiche industriali (Tim, siderurgia e automotive), sul Pnnr e la riforma delle pensioni (su cui però c’é tempo sino a fine anno per prendere una decisione).
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RECOVERY: Corsa alla seconda rata vale più di 21 miliardi
La rata del Pnrr relativa al primo semestre è già stata messa in sicurezza perché il governo ha rispettato tutti gli impegni presi con Bruxelles. Ma se il governo resta in panne rischiamo di perdere la seconda, che vale altri 21,8 miliardi. Da centrare adesso ci sono 16 obiettivi e 39 traguardi. Innanzitutto bisognerà mandare a regime la legge sulla concorrenza e la riforma del fisco, varando tutti i relativi attuativi. Poi c’è tutto il resto: ben 11 scadenze fanno capo al ministero delle Transizione digitale (dal completamento del Piano strategico nazionale alla messa a regime del sistema di cybersecurity, all’avvio della piattaforma digitale nazionale dati), altri 8 (compresi i progetti su isole verdi e green communities) al ministero della Transizione ecologica e 5 alle Infrastrutture, dove però hanno già anticipato alcuni piani. A seguire il Lavoro (4 scadenze), che dovrà presentare il piano per la lotta al sommerso e far decollare i nuovi centri per l’impiego regionali. La Giustizia deve definire le procedure per le assunzioni nei tribunali, mentre al Mef tocca la riforma dell’amministrazione fiscale e della spending review.
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LE OPERAZIONI: Privatizzazioni Ita e Mps nella fase decisiva
Anche nel campo della finanza ci sono almeno 4 dossier che richiedono il ruolo guida di un governo con pieni poteri. Una delle partite future più strategiche, dove il ruolo dello Stato attraverso Cdp è determinante, riguarda la realizzazione della rete unica, con lo scorporo da Tim della nuova Netco e quindi la riorganizzazione complessiva del gruppo telefonico. Poi c’è il dossier dell’ex Alitalia: Msc-Lufthansa e Certares-Air France sono in attesa di una risposya la loro offerta finale per Ita Airways. Con tanto di garanzie sugli investimenti, i livelli occupazionali, il ruolo di Fiumicino e Malpensa e le tratte da servire, come chiede il Mef che conserverà il 20% delle quote ed un ruolo significativo nella governance. Sempre sulle spalle del Mef grava il dossier Mps, la banca senese controllata al 64% dal Tesoro, attende il varo dell’ennesimo aumento di capitale da 2,5 miliardi (Bruxelles permettendo) come premessa per il tentativo di vendita. Da ultimo l’ex Ilva, sempre più in affanno, da sempre in attesa di un vero rilancio. E’ di ieri l’ennesimo sciopero del subappalto «la cui disperazione è ormai fuori limite».
Schede a cura di PAOLO BARONI