La rincorsa dei populisti
In Italia e nel mondo, la domanda di politica sta crescendo a vista d’occhio. In Italia e nel mondo, soprattutto democratico, l’offerta di politica è mediocre e non riesce a soddisfare la domanda. Ovunque i «produttori» di politica si stanno sforzando di aumentare per quanto possibile la «produzione», ma per decenni si sono adoperati a smantellare gli impianti e licenziare il personale, e non riescono adesso a invertire la rotta. Il rischio è che, insoddisfatti da quel che trovano sul mercato democratico, gli elettori si mettano a cercare ai limiti della democrazia.
La domanda di politica è tornata a crescere circa un decennio fa, all’indomani della Grande Recessione. Dopo che per un ventennio almeno aveva galleggiato su livelli assai scarsi, in un mondo post-Guerra Fredda persuaso di poter fare quasi del tutto a meno del potere pubblico e ansioso piuttosto di farsi governare dal diritto, dal mercato, dagli organismi tecnocratici nazionali e internazionali, dalle nuove tecnologie. Da ultimo le crisi migratorie, la pandemia, la guerra in Ucraina, la scarsità di materie prime hanno fatto letteralmente esplodere la domanda di politica, la sensazione diffusa che un globo incontrollabile e irto di pericoli debba urgentemente essere ricondotto a un minimo di ordine politico.
Il cosiddetto populismo, se vogliamo restare nella metafora mercantile, ha rappresentato l’equivalente dell’imprenditore scaltro, veloce e povero di scrupoli che, identificata una domanda insoddisfatta, si mette a sfornare e vendere al volo un prodotto improvvisato. Un prodotto mediocre, inevitabilmente, ma destinato ugualmente al successo perché capace di soddisfare, in monopolio, un bisogno sociale diffuso. Come spesso accade, tuttavia, è col passare del tempo che i prodotti mediocri mostrano i propri difetti. Chi si stia interrogando sulle ragioni dell’attuale crisi di governo può trovarne la principale proprio in questo: il Movimento 5 stelle, il cui successo ha avuto ragioni profonde perché intercettava una domanda, poiché l’intercettava con un prodotto improvvisato è giunto adesso al termine della propria parabola storica. Per colmo di paradosso, il partito che ha fatto una bandiera della lotta contro l’obsolescenza programmata dei prodotti tecnologici cade infine vittima dell’obsolescenza programmata dei prodotti populisti.
Diffido del catastrofismo, che ritengo sia più un’aggravante che una semplice diagnosi dell’epoca complicata nella quale viviamo. Ma mi riesce difficile non pensare che il tempo stringa sempre di più, e che in fondo alla via ci attenda, effettivamente, un rischio di catastrofe. La domanda di politica, come detto, è in crescita esponenziale. Ma i produttori di politica tradizionali sembrano psicologicamente prigionieri del «ventennio glorioso» post-1989 e non riescono a rinnovare la propria offerta – anzi, continuano con monotona insistenza a proporre sempre le stesse ricette –, mentre dei prodotti populisti si è fatta ormai evidente la scarsa qualità. Eppure è difficile immaginare che la domanda e l’offerta di politica possano continuare a divergere ancora a lungo.