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Июль
2022

Amendola: “Tutti i partiti dicano sì o no al patto, se si va al voto alleanze da rivedere”

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ROMA. «Il Pd sta assolvendo il compito di una “safety car” che cerca di riportare la normalità in pista dopo un brutto incidente»: usa questa immagine Enzo Amendola, sottosegretario a Palazzo Chigi, braccio destro di Mario Draghi in Europa, per richiamare «tutti i partiti a dire sì o no ad andare avanti, perché non è il premier chiamato ora a dare risposte».

Ma anche se i Cinque stelle facessero marcia indietro è Draghi che deve dire se sia disposto a continuare, giusto?
«La lettura del contesto è l’Abc della politica. C’è una guerra nel cuore dell’Europa e in questo momento non possiamo ammainare la bandiera dell’Italia e innalzare quella dei partiti. Questo governo nasce per far fronte alle emergenze, abbiamo affrontato quelle degli effetti recessivi del Covid e poi si è scatenata un’altra emergenza di grave portata. Energia, inflazione, costi delle materie prime, questa la posta in gioco. Di fronte a tutto ciò, il patto di governo deve reggere. E non è Draghi ad essere chiamato ad una riflessione, bensì le forze che hanno fatto venire meno questo patto. Il Pd ha a cuore sempre l’interesse generale del Paese prima che quello di partito. Ed ora è in sintonia con la mole impressionante di attestati a favore della stabilità: dalla Cei agli industriali, dai sindacati al terzo settore, tutti dicono che il Paese è spaventato».

Dunque sta ai partiti fare cosa?
«Dimostrare una serietà delle posizioni: chi ha lavorato per questo governo ha contratto un patto e tutti devono dire se sia ancora valido o no, tutti quelli che hanno dato vita a questa esperienza. E la serietà sta nel dire sì o no».

Ha sbagliato Conte o Draghi ha forzato la situazione, come dicono i grillini?
«Ma non è mai mancata nessuna interlocuzione o confronto. L’apertura dell’agenda sociale fatta dal premier con imprese e sindacati rispondeva a molte delle preoccupazioni dei Cinque stelle per le emergenze sociali. Non c’è stata mai nessuna chiusura. Io credo sia stato un errore far venire meno la fiducia: non votare in Parlamento a sostegno del governo non è opzione priva di conseguenze».

Non è che temete le elezioni, visto che vincerebbe la destra?
«Non le temiamo, ma abbiamo dato all’Italia questo governo per arrivare in modo ordinato alle urne e nel prossimo semestre le questioni sociali meritano Draghi e l’unità dei partiti».

Possibile pensare ad un governo senza M5s come chiede la destra?
«Il patto si regge su quattro gambe e un tavolo a tre gambe non reggerebbe. Il governo è nato con i Cinque stelle, che per una questione di comune responsabilità devono rispondere o sì o no a rinnovare questo patto. E, come loro, tutti devono dire sì o no mercoledì prossimo».

Quindi i veti della destra verso il M5s sono inopportuni?
«Guardi, anche noi ci interroghiamo sulle posizioni dei Cinque stelle, quello che decideranno per il Pd sarà fondamentale per affrontare i prossimi mesi. E non arrivano dei segnali chiari sulla scelta di fondo: vogliamo tutti insieme fare questo sforzo per difendere l’Italia dalle emergenze, oppure ognuno pensa solo al proprio orto politico?».

Se si votasse ci sarebbero problemi per l’erogazione dei 200 miliardi di fondi Pnrr cui abbiamo diritto?
«Quando stava per cadere il governo Conte, io dissi che non si poteva andare al voto. L’Italia può fare tutte le sue scelte, ma ha dei contratti a livello europeo e la fase elettorale porterebbe ad autunno alla formazione del nuovo governo, che dovrebbe raggiungere gli obiettivi per avere la tranche di 20 miliardi del Pnrr, fare poi la legge di bilancio e prendere le misure per gestire lo choc energetico. Quindi, auguri».

L’obiezione ricorrente è che in tutta Europa si sta votando. L’Italia è figlia di un Dio minore?
«L’Italia andrà al voto, ma secondo me non dovrebbe dare l’impressione all’opinione pubblica mondiale di un Paese instabile, inaffidabile ed esposto ai marosi del mercati e alla fuga degli investitori. Il problema rispetto al mondo è non confermare quello stereotipo. Negli ultimi sei anni ho lavorato con quattro premier e ogni anno mi trovavo a dover spiegare le crisi ai colleghi stranieri. Ricorderà bene Conte che cosa significava l’instabilità nel momento in cui abbiamo ottenuto i fondi del Next generation Eu. Abbiamo lottato per averli e l’instabilità non giocava certo a nostro favore».

Per il suo partito come sarebbe possibile affrontare le elezioni con un Movimento che ha negato la fiducia al governo di cui il Pd è il più forte sostenitore?
«Conforta che la nostra posizione di razionalità e serietà sia uguale a quella delle categorie sociali e per noi questo è fondamentale: lavoreremo per riportare tutto nella giusta dimensione, altrimenti valuteremo e decideremo quello che sarà il futuro. Da qui a mercoledì vanno messe le carte in tavola e poi ognuno farà le sue scelte. E nella peggiore ipotesi di elezioni anticipate, ognuno sceglierà come presentarsi».

Che effetto ha prodotto in Europa questa crisi inaspettata dell’Italia?
«È evidente che c’è una grande preoccupazione e per essere onesti sarebbe strano sorprendersi. Siamo in un contesto geopolitico ed economico in cui per gli effetti dell’invasione russa bisogna assumere scelte su energia, politica migratoria e regole degli investimenti che hanno portata storica. E se in una squadra viene meno uno dei giocatori fondamentali, tutta la squadra si preoccupa. La solidità dell’Ue è anche nella solidità delle leadership e chi non se ne accorge non sa leggere il contesto, che da bambini ci hanno insegnato essere la cosa principale».




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