Aurelia Laurenti fu uccisa con 19 coltellate per un approccio sessuale respinto
PORDENONE. Non è vero che Giuseppe Mario Forciniti, ex infermiere dell’ospedale di Pordenone, la sera del 25 novembre 2020 entrò nella stanza dell’allora convivente Aurelia Laurenti per salutare il figlioletto, che dormiva accanto alla madre. Forciniti voleva un approccio sessuale.
Ma Aurelia, che viveva da tempo da separata in casa, aveva previsto questa eventualità e, per difendersi in caso di necessità, aveva portato con sé, in camera, un coltello.
Nessuno, quella notte, ha avuto ciò che voleva. La donna ha perso la vita, stroncata a soli 32 anni con 19 coltellate. L’uomo ha distrutto anche la propria, di esistenza, sotto il peso dei 24 anni di reclusione inflittigli in primo grado, e quelle dei figli minori, che quei frangenti, nell’abitazione di famiglia, a Roveredo in Piano, non li dimenticheranno mai.
A stabilire ciò che davvero accadde, per la giustizia italiana, in quella casa sono stati i giudice della Corte d’assiste di Udine. «Emergeva, nel corso del processo – hanno scritto nella motivazione della sentenza – un interesse di natura sessuale dell’imputato nei confronti della vittima, interesse non condiviso nella stessa misura.
Da ciò può essere ragionevolmente ritenuto che la vittima custodisse un coltello in stanza per “difendersi” in caso di necessità. Appare ragionevole ritenere che l’accesso di Forciniti nella stanza della vittima non fosse per salutare il figlio, addormentato, bensì per approcciare la vittima.
Costei poneva in essere una prima difesa (vedi graffi sulla schiena dell’imputato). In un secondo momento la vittima brandiva il coltello, al fine di tenere a distanza il soggetto.
Un gesto simile giustificherebbe le lesioni minime da taglio arrecate al ventre dell’uomo, talmente lievi da non poter corrispondere a un tentativo serio di accoltellamento.
A quel punto interveniva la reazione irosa dell’imputato che, impossessatosi dell’arma, accoltellava la vittima. Questa riportava le ferite tipiche da difesa al dorso della mano sinistra proprio all’esito del tentativo estremo di difendersi».
I giudici, in merito ai graffi sulla schiena di Forciniti, poi risultati decisivi nella ricostruzione dei fatti, si dolgono espressamente che siano sfuggiti al medico che visitò l’ex infermiere in carcere. Non così, fortunatamente, alla polizia, che li documentò.
In merito all’equivalenza tra l’aggravante della convivenza (altre non ne erano state chieste) e la concessione delle attenuanti generiche, i giudici hanno evidenziato che Forciniti, pur mentendo inizialmente agli agenti addebitando a un fantomatico ladro in casa l’omicidio, non aveva pianificato l’uccisione, non aveva precedenti e non si era rivelato in altri casi pericoloso, salvo un precedente familiare, controverso, nell’estate 2020.
Ha mentito, secondo i giudici, sul fatto di essere stato aggredito col coltello da Aurelia, di essersi voluto solo difendere, di aver sferrato una prima casuale coltellata al collo e poi di aver avuto un blackout, ma ciò non è stato ritenuto sufficiente per condannarlo all’ergastolo. La difesa deciderà, ora, se ricorrere in appello.