L'America e la giustizia show
E' un kolossal sezionato alla moviola quello che si sta consumando a Washington Dc. Il piatto forte è - o dovrebbe essere - la testa di Donald J. Trump. Offerta in pasto a milioni di americani a reti nazionali unificate. Davanti alla J6 Select Committee - la Commissione d’inchiesta ristretta voluta (e selezionata) dalla portavoce della Camera Nancy Pelosi per indagare sull’Insurrection Day del 6 gennaio 2021 - sono stati convocati quasi un centinaio di testimoni. Nell’elenco figurano personaggi chiave dell’entourage politico, del nucleo familiare e delle amicizie intime del 45° presidente degli Stati Uniti. C’è chi è finito agli arresti «per oltraggio» al Congresso per essersi rifiutato di comparire, come Steve Bannon, ex consigliere politico di Trump. E c’è chi è stato «solo» perquisito con cellulare sottratto, come Rudy Giuliani, già sindaco di New York e nel team legale del presidente. Tra i convocati anche i suoi figli, Eric e Ivanka, e il generale Michael Flynn, ex consigliere per la sicurezza nazionale.
Ma la maggioranza dei convocati al banco dei testimoni è sconosciuta al grande pubblico. Come quella di Cassidy Hutchinson, che il 28 giugno scorso ha rilasciato una testimonianza di due ore, sotto giuramento, subito pompata dai media. La 25enne stagista era stata inserita nello staff dell’ex capo di Stato maggiore della Casa Bianca, Mark Meadows. Un’audizione a sorpresa, ricca di pathos, che ha regalato brividi degni di un «action movie» alla sesta seduta della Commissione, da tempo in calo di audience. Hutchinson ha dichiarato di aver appreso che Trump era infuriato per essere stato riportato alla Casa Bianca dopo la sua manifestazione Stop the Steal, «Fermate il furto», dove denunciava la presunta frode elettorale e chiamava a raccolta i sostenitori. Sulla limousine presidenziale, si sarebbe lanciato verso il volante, tentando di sottrarlo a un agente dei servizi segreti alla guida. La donna ha aggiunto dettagli inediti: «Gli ho sentito dire qualcosa tipo “Non m’importa che abbiano armi. Non sono qui per farmi del male. Lascia entrare la mia gente, può marciare verso il Campidoglio”». A porte chiuse è stato chiamato a testimoniare anche l’avvocato ed ex consulente della Casa Bianca Pat Cipollone che, secondo la Hutchinson, il 6 gennaio avrebbe dichiarato che se Trump avesse interferito nella certificazione dell’elezione «potremmo finire incriminati per ogni reato immaginabile». Se la ricostruzione fosse vera, visti i molti «de relato» di cui è ricca, si avrebbe a che fare con un The Donald dalla personalità schizofrenica. Perché sia al Senato sia nella stessa Commissione, risultano acquisite testimonianze d’alto livello che proverebbero l’intervento diretto del presidente uscente nel sollecitare la difesa di Capitol Hill.
Hutchinson è una teste attendibile? Non le giova l’aver cercato impiego presso Trump, all’indomani della sconfitta elettorale, e l’abbraccio alla più acerrima nemica dell’ex presidente - la stessa depitata Liz Cheney - a fine deposizione. Cinque ufficiali di rango, convocati nello Studio Ovale dal presidente il 4 gennaio 2021, hanno confermato che «richiese la mobilitazione fino a 20 mila unità della Guardia nazionale da offrire alla polizia del Campidoglio in vista del 6 gennaio». Il Washington Post ha smentito questa affermazione. Riconfermata a Fox News, assieme alla documentazione scovata dal giornalista investigativo John Solomon, da 4 dei 5 presenti a quel briefing: il capo dello staff della Casa Bianca Mark Meadows; il segretario alla Difesa Chris Miller; il capo dello staff al dipartimento della Difesa Kash Patel e ambienti vicini al generale Mark Milley, all’epoca capo di Stato maggiore di Trump e confermato dall’amministrazione Biden. «Il dipartimento della Difesa rifiutò la nostra richiesta di consentire a membri della Guardia nazionale di essere schierati davanti al Campidoglio già dal 4 e 5 gennaio. Abbiamo fatto tutto il possibile per prevenire l’assalto, anche sulla base delle ripetute allerte inoltrate dall’intelligence a vari soggetti», ha dichiarato Patel sotto giuramento alla Commissione, «la nostra richiesta di autorizzazione per dispiegare la Guardia nazionale è stata respinta dal Sergeant at arms della Camera (il responsabile della sicurezza, ndr) il 5 gennaio, rispondendo che non era nella loro “ottica”». Alle 13,53 del 5 gennaio il sindaco di DC (District of Columbia) Muriel Bowser ha twittato e scritto una lettera al dipartimento della Difesa chiedendo di non dispiegare gli agenti della Guardia nazionale davanti al Campidoglio il 6 gennaio: «Per essere chiari, il Distretto di Columbia non richiede altro personale delle forze dell’ordine federali».
Quello che è stato ribattezzato l’Insurrection Day - scatenato dalla rabbia verso un’elezione di cui sono emerse, a distanza di tempo, vistose pecche - è stato paragonato dalla stampa liberal a tragedie come l’11 settembre (2.977 vittime) e all’attacco di Pearl Harbor (2.331 morti solo tra i soldati). Ma se abbandoniamo la fiction per tornare ai fatti documentati, nessun «insorto» del Campidoglio è stato trovato con un’arma da fuoco in pugno, elemento che contraddistingue per definizione ogni «insurrezione». Anche l’Fbi ha trovato «scarse prove» che l’attacco del 6 gennaio al Campidoglio sia stato «il risultato di un complotto organizzato per ribaltare il risultato delle elezioni presidenziali». Lo riporta l’agenzia Reuters in un lancio del 21 agosto 2021, citando la testimonianza di quattro attuali ed ex funzionari delle forze dell’ordine, che dichiaravano: «Il 90-95 per cento di questi sono casi una tantum. Ma non c’era un grande piano […] per assaltare il Campidoglio e prendere ostaggi».
Migliaia di feriti e dozzine di vittime sono invece il bilancio concreto, ma invisibile ai media, dei 564 scontri di piazza capeggiati in tutto il Paese da esponenti Antifa e dai Black lives matter (Blm), i cui responsabili sono rimasti in larga parte impuniti. Rivolte scatenate dall’omicidio brutale di George Floyd, avvenuto il 25 maggio 2020, che hanno generato un’ondata di terrore e saccheggi dilagante negli States. Gli attivisti Blm e gli anarchici hanno sfogato la loro rabbia devastando centinaia di piccole attività, abbattendo monumenti e incendiando caserme, senza che nessuno dei leader democratici condannasse, o tentasse di sedare, l’impulso distruttivo delle masse.
Un déjà vu di quanto accaduto, di recente, nei raduni dei manifestanti pro-aborto che, in violazione di una legge federale, hanno assediato le abitazioni dei giudici della Suprema Corte, postate sulla Rete. L’incitamento alla rabbia di massa - basta ascoltare il video del leader della maggioranza al Senato, Chuck Schumer, che annuncia al giudice della Corte Brett Kavanaugh che «avrebbe pagato il prezzo» - è stato usato come arma di intimidazione al posto dell’azione politica. Una minaccia al funzionamento stesso della democrazia, che la Casa Bianca non ha mai condannato. «Sappiamo che il dipartimento di Giustizia sta utilizzando l’Antiterrorismo contro un avvocato coinvolto nella causa legale sull’integrità dell’ultime elezioni» ha denunciato il giornalista Tucker Carlson. «In passato, ogni elezione è sempre stata contestata da entrambi gli schieramenti. All’improvviso è diventato un crimine».
Il 15 febbraio quattro alti legislatori hanno scritto alla speaker Pelosi per chiedere risposte ufficiali «riguardanti la sicurezza del Campidoglio il 6 gennaio». Pongono quesiti semplici ma inevasi dalla Commissione: «Il 4 gennaio il Sergeant at Arms [della Camera] Paul D. Irving ha ottenuto il permesso o l’istruzione dal suo staff prima di negare la richiesta per la guardia nazionale?»; «Quali conversazioni e quale guida avete dato lei e il suo staff al Sergeant at Arms fino al 6 gennaio per la sicurezza del Campidoglio?»; «Perché i suoi funzionari della Camera si rifiutano di consegnare i materiali richiesti rilevanti quegli eventi?». Qualsiasi sia il verdetto a cui arriverà la J6 Select Committee, i «danni collaterali» saranno rilevanti. Mentre gli americani restano a secco alla pompa di benzina e non trovano il latte in polvere per i neonati, rimangono in sospeso quesiti essenziali sull’esercizio della giustizia e dei diritti civili. Anche senza bisogno di effetti speciali, è facile intuire che l’America ne uscirà più divisa di quando il presidente Joe Biden, appena insediato il 20 gennaio del 2021, l’aveva presa in carico.