Max Pezzali in concerto a San Siro e i suoi 60.000 fans: due sere d'estate che ci ricongiungono alla nostra adolescenza. Max compie 30 anni di carriera, eppure è la stessa storia, stesso posto, stesso bar, una notte indimenticabile. E non importa se la distanza tra oggi e quel 1992 in cui Max Pezzali e Mauro Repetto esordirono come 883 nell'indimenticata Hanno ucciso l'uomo ragno è collocato molte vite, amori, case e opportunità fa. Importa che sembra ieri e che l'emozione di essere uniti sotto uno stesso palco, in una stessa canzone e con le stesse speranze, almeno per un attimo abbia travolto tutto e lasciato il mondo fuori. Davvero quegli anni d'oro del grande Real cantati ne Gli anni sembrano volati in un soffio, a guardare il live di San Siro, ad esperirlo. Un live che ha visto protagonista Max e gli amici di sempre: Mauro Repetto, immancabile braccio destro, pure se la vita lo ha portato altrove a ballare come se il Festivalbar o i videoclip fossero una parentesi di un giorno fa («Balla da dio, tipo 1983... è in forma strabiliante, si allena due ore e mezza al giorno e forse gli dovrei chiedere qualche consiglio... ma soprattutto sento un’energia che mi fa venire voglia di metter giù qualcosa. Porto la famiglia una settimana a Disneyland dove lui lavora e vediamo cosa succede» ha detto Max). Paola e Chiara, che con lui c'erano dai tempi di Tieni il tempo, ancora a farci provare saudade per i tempi che sono stati. E J.Ax, che a voler ben dire, rappresenta un altro prezioso approdo e monito per quegli anni a cavallo tra i Novanta e i Duemila in cui sognare non solo era lecito, ma anche concesso. Ricordati di sognare verrebbe da dire, ricordati di vivere il reale verrebbe da ricordarsi più spesso.
Max Pezzali a San Siro è stato reale. E rappresenta proprio questo, anche ora che di anni ne sono passati trenta: un bagno di concretezza, senza che però questo insozzi o annichilisca la donna, il sogno, il grande incubo del suo e nostro immaginario. Max Pezzali trent'anni dopo è ancora lo slancio del «se vuoi sognarlo, puoi farlo a qualsiasi età». Che è un mutuo prestito disneyano, ma che guarda ai supereroi della Marvel per metterlo in pratica. Max Pezzali e i suoi trent'anni di carriera sono quel «sono ancora qua, eh già» di Vasco, però con una prospettiva meno disincantata. Piuttosto sono la riprova e l'opportunità di credere nei sogni possibili a qualsiasi età anagrafica. La prospettiva di avere davanti ancora tanto da realizzare, il senso più puro di tutto ciò che non si è corrotto con i tempi e che è ancora possibile. Quella speciale, scanzonata, salvifica salvezza che - quasi a monito - ti riporta a casa, all'essenziale pure in un mondo che cade a pezzi, che mente, che accampa scuse più che abbracci. E a che serve, in fondo affondare? La ricetta di Max è sempre la stessa, sta a galla piuttosto. Bastano un deca e via: rotta per casa di dio con gli amici, pure a notte fonda se serve. Che in fin dei conti, puoi pure far serata e un buco nell'acqua ed essere felice ugualmente con una birra e un camogli condiviso. Non conquisterai la regina del celebrità, andrai in bianco al Jolly Blue. Non ci sarà nemmeno Sabrina Salerno (l'indimenticata Sei un mito, proprio del film Jolly Blue) a concederti un bacio o un nuovo appuntamento, stavolta. Forse varrà la regola controvertibile dell'amico (controvertibile, invero, considerando proprio che Max ha sposato la migliore amica, Debora Pelamatti). Ma ci sarà ancora vita, ancora speranza. Questo è il segreto del perché, pezzi di successo intramontabili a parte, Max è così amato in maniera trasversale: perché in fondo è uno di noi, uno che, da professionista, ha mantenuta salda la connessione alla fallibilità, alle vicende ballerine dell'esistenza, alle cadute e alle risalite, all'elogio della semplicità nonostante tutto.
Sì, perché Max Pezzali è come lo vedi: semplice. Quell'amico che è un porto sicuro cui raccontare le sfighe, quello che a sua volta ti racconterà di quando ha tirato tardi per incontrarla, pure se questo avrebbe limitato la sua singletudine incallita o un azzardo fallimentare a seguire. Quello che ha come stile di vita la modalità «presabbene» e, in effetti, alla fine dei giochi, tutto va come deve andare. Max Pezzali è quello che gioca ancora con i compagni di sempre, che si perde un po' dietro i fumetti e che la passione per le moto (in particolar modo le Harley, da cui anche il modello 883 del primo gruppo) non la abbandonerà mai. Max Pezzali è un microfono corale che a San Siro ha porto a tutti noi per darci un affaccio su ciò che abbiamo talvolta dimenticato. In un'epoca di social, di straniamento, di amplessi facili e di vita da consumare, in fondo poi ciò che resta è ciò che è tangibile. Un gigantesco karaoke, che da quel Ticino e da quella Pavia in cui tutto nacque - Max e Mauro erano compagni di scuola- ha seguito un periplo che è arrivato sino a giorni nostri, con i brani tratti da, 500 corpi illuminanti e ogni canzone con un impianto scenografico che ne ha esaltato l’esecuzione. Basti pensare agli effetti delle luci stroboscopiche anni 70 e i contributi grafici che su ogni brano hanno preso forme e colori sempre nuovi: le ragnatele luminose dell’Uomo Ragno, il cruscotto dell’auto che porta gli amici «a casa di Dio», la plancia dell’astronave perché tutto vada «dove deve andare» e uno scatenato corpo di ballo.
Max Pezzali compie 30 anni di carriera. E in fondo ci ricorda forse la cosa più sottovalutata di tutte. La bellezza della semplicità in un mondo dove tutto ha un filtro, una fazione, un colore, una noncuranza per partito preso, una scusa. A San Siro è stata una serata di festa, in cui Max ha fatto al suo pubblico il dono più grande di tutti: quello di essere parte di una gigantesca zona franca. O forse di uno spazio vero, di una pausa concreta, in un mondo di scarse occasioni di riflessione, di esiguo contatto fisico, di sporadica connessione mentale e affettiva. Ci ha messo dentro tutto: la sua vita, che è un po' anche la nostra, che con questo fratello maggiore siamo cresciuti. Le canzoni - da Come mai a Una canzone d'amore - che abbiamo dedicato alla nostra ex di turno o all'amore che verrà. Lo struggimento di tutti i momenti no che credevamo non avremmo mai superato. La rivalsa di tutti i momenti, inaspettati e più luminosi, che sono arrivati. Tutto ciò che siamo diventati: chi con mogli e mariti e figli, chi a cercare ancora la strada migliore, chi comunque vada, con un bagaglio di vissuto in groppa o alle spalle. Eppure ancora in piedi, sempre «quelli del tranquillo siam qui noi». Per tutte le volte che ce ne siamo dimenticati, per tutte le volte che il virtuale o il mordi e fuggi ha preso il sopravvento, per tutti gli attimi in cui il caos, il caso o il casuale hanno preso il sopravvento.
Trent'anni di Max ci hanno ricordato che l'approdo desiderabile, forse, è quello che sognavamo quando, ragazzini ascoltavamo Nord Sud Ovest Est, cercando una direzione giusta. Sta nell'essere più che nell'avere, nel man-tenere piuttosto che nel consumare, nell'impavida capacità di osare rendere una vita normale extra ordinaria, piuttosto che nel riempire una ordinaria vita di marchingegni random per fare breccia nella noia e nell'apatia. Max a San Siro, con la sua musica, ci ha dimostrato che non è finita finché non è finita. Che, alla fine della notte, conta chi resta e il resto non conta. E che la libertà, quella vera, quella che anche dopo 30 anni di essere ancora in hype, risiede nella scelta di coltivarle le passioni e di lasciare andare il resto. Un concerto, gli amici, un amore in potenza, un affaccio su un mondo possibile, una sfida da intraprendere, una città da scoprire, un concreto cui ritornare: dentro il live a San Siro ci sono le prospettive di ognuno di noi. Indomite, insolite, risolute, pure un po' sfigate. Una sera qualunque - due in realtà, considerando che a San Siro si è esibito il 15 e 16 luglio - da cui ripartire, da cui capire, da cui trovare slancio diverso. Un giorno in più, un'occasione, Max che resta un mito. Che in fondo, come ci ha insegnato, talvolta «basta una notte così, a cancellare 120 giorni stronzi».