Un miracolo di nome Alessandra
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A Catania il primo parto in Italia dopo un trapianto di utero. La neo mamma sceglie di chiamare la bimba come la donatrice
La sua bambina porta il nome della donna che le ha permesso di metterla al mondo. «Alessandra», come quella giovane donatrice – morta per un arresto cardiaco – che le ha regalato un utero. Un gesto prezioso e atteso per lei che ne era nata senza, a causa di una rara patologia, e che finalmente a 31 anni potrà sentirsi chiamare «mamma», dopo una fecondazione assistita andata a buon fine. È il sesto caso al mondo di una nascita da un utero trapiantato da una donatrice deceduta e il primo in Italia. Accade a Catania, nell’ospedale Cannizzaro, dove la donna e la sua piccola sono ancora ricoverate. Ed è proprio da qui che si possono disegnare i contorni di questa storia.
Due famiglie lontane, sino a poco tempo fa praticamente sconosciute, entrate in contatto con Facebook e unite dal filo solidale del trapianto. «Sono felici come noi, stiamo condividendo tutto», dice Giovanni, il papà della neonata, che non trova le parole giuste per ringraziarli. E allora lascia che a parlare siano certe azioni che diventano quasi naturali. Come chiamarla Alessandra, «il minimo che potessimo fare». Confessa di non dormire da due giorni. Gli fa eco il marito della donatrice: «È come se Alessandra fosse tornata a vivere, una parte di lei rivive ancora». Aveva 37 anni, era madre anche lei. Ha perso la vita improvvisamente, in un ospedale di Firenze.
La vita, oltre il dolore. La vita, dopo la morte. È il prodigio della donazione che si mostra, con tutta la sua forza, e fa incrociare destini: di chi, con la parola «acconsento» esprime la precisa volontà di dare agli altri qualcosa di sé, senza nulla in cambio, e di chi riceve, spesso senza sapere neppure chi deve ringraziare. E se il cuore non conosce confini, quello di questa neo mamma di sicuro scoppia di gioia. «Sono in ripresa, non vedo l’ora di uscire per vedere la mia piccola e abbracciarla» dice in un piccolo video, traccia a futura memoria di un giorno indimenticabile.
«La signora ha condotto una gravidanza regolare – spiega Paolo Scollo che dirige il reparto di ostetricia e ginecologia – poi l’infezione da Covid con febbre alta e le contrazioni ci hanno indotto a procedere con il parto cesareo». E così Alessandra è nata prematura, alla 34esima settimana di gravidanza, con il suo chilo e settecento grammi. La mamma è stata trasferita in terapia intensiva, la figlia in quella neonatale. Le loro condizioni sono stabili, monitorate costantemente. «Sapere che l’utero di una persona, deceduta da due anni, sia in grado di generare ancora vita è una cosa che va oltre l’immaginabile» racconta Pierfrancesco Veroux, ordinario di chirurgia vascolare e trapianti dell'università di Catania che ha eseguito l'intervento. Al momento della nascita e del primo vagito era lì: «È stata un’emozione infinita». Il trapianto, ad agosto di due anni fa. «Estremamente complesso» ricorda Veroux. Sin dall’inizio, ha presentato le difficoltà tecniche «che ne limitano l'uso estensivo nel mondo, ma l’utero ha mostrato una grande vitalità che ha poi permesso di portare a termine una gravidanza quanto mai attesa».
Per ora la mamma ha potuto vederla soltanto in foto ed è stato un momento di grande commozione. Nel frattempo, sta immaginando ogni dettaglio, assaporando il momento in cui potrà tenerla in braccio e sicuramente interrogandosi su quale odore avrà la sua piccola, che smorfie farà quando ha fame, se piange molto e dorme altrettanto.
È questione di giorni, poi potranno tornare a casa. La famiglia è ancora incredula. La 31enne era affetta dalla sindrome di Rokitansky. Giovanni lo sapeva e, quando l’ha sposata, sapeva anche che non avrebbero potuto avere figli, «ma io l’amavo e l’amo tantissimo». Adesso spera che la loro felicità possa essere contagiosa, spingendo altri alla donazione. Conta le ore, nell’attesa di poter abbracciare entrambe e intanto continua a ripetere: «È un miracolo».