Ergastolo ostativo, l’udienza alla Consulta – L’avvocato dello Stato: “Il decreto approvato dal governo segue le richieste della corte”
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Udienza davanti alla Corte costituzionale dopo il doppio rinvio deciso tra il maggio del 2021 e quello del 2022. Dopo che l'esecutivo ha varato un decreto legge che ricalca la riforma in discussione in Parlamento durante l'ultima legislatura, l’avvocatura dello Stato ha spiegato che ci sono i presupposti per la remissione degli atti del procedimento alla Corte di Cassazione
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Il decreto legge approvato da Giorgia Meloni per mettere una pezza sull’ergastolo ostativo segue le indicazioni date dalla Corte costituzionale nel maggio del 2021. È questo in sintesi il contenuto dell’intervento di Ettore Figliolia, avvocato dello Stato, comparso oggi in aula nell’udienza fissata dalla Consulta per discutere sulla legittimità della norma che vieta di concedere la libertà vigilata ai boss mafiosi e ai terroristi, condannati al fine pena mai, senza prima collaborare con la giustizia. “Credo che il legislatore governativo sia stato pedissequo con quanto richiesto dall’ordinanza della Consulta con la sua ordinanza del 2021”, ha detto Figliolia ritenendo che il nuovo decreto approvato dal governo sia “legittimo“. Secondo l’avvocatura dello Stato ci sono i presupposti per la remissione degli atti del procedimento alla Corte di Cassazione, che aveva sollevato la questione la questione davanti alla Consulta.
Una vicenda complessa – L’udienza di oggi, infatti, è solo l’ultimo atto di un complesso iter cominciato un anno e mezzo fa. Il 15 aprile del 2021, infatti, la Consulta aveva dichiarato incostituzionale l’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario, il cosiddetto ergastolo ostativo che vieta di liberare i condannati alla fine pena mai per reati di mafia o terrorismo, senza alcuna collaborazione con la giustizia. In quell’udienza, però, la corte aveva emesso una sentenza di illegittimità concedendo 12 mesi affinché il Parlamento lavorasse a un legge che sanasse un vulnus, altrimenti si sarebbe indebolito “il contrasto alla criminalità organizzata”. Il Parlamento aveva dunque cominciato a lavorare a una legge – approvata alla Camera – e per questo motivo, nel maggio scorso, la Consulta aveva concesso altri sei mesi di tempo. Solo che nel frattempo è caduto il governo e sono state sciolte le Camere. E dunque l’iter parlamentare si è bloccato.
L’udienza alla Consulta – Il nuovo governo guidato da Giorgia Meloni, però, ha deciso di varare un decreto legge che ricalca la legge approvata da Montecitorio. E contro il quale si è esposta Giovanna Beatrice Araniti, avvocata che rappresenta il condannato all’ergastolo la cui richiesta di benefici è stata oggetto della ordinanza di remissione degli atti alla Consulta da parte della Corte di Cassazione. La legale ha chiesto di considerare illegittimo il decreto: “La funzione rieducativa della pena deve valere per tutti i detenuti. Questo decreto legge sancisce la morte del diritto alla speranza, spero invece che la Corte emetta una sentenza di illegittimità costituzionale che rappresenti il germoglio di un nuovo umanesimo. Il principio della finzione riabilitazione della pena deve valere per tutto”, ha detto davanti alla Consulta. Tra oggi e domani la Corte potrebbe fornire un anticipo della sentenza.
Cosa prevede il decreto – Ma cosa c’è scritto nel decreto legge varato dal governo? Nello specifico – si legge nella relazione al testo – per ottenere i benefici gli ergastolani condannati per reati associativi dovranno allegare l’esistenza di “elementi specifici che consentano di escludere (…) sia l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi”. Inoltre, dovranno dimostrare di “aver adempiuto alle obbligazioni civili e agli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l’assoluta impossibilità di tale adempimento”. E non potranno chiedere la liberazione condizionale prima di aver scontato trent’anni di pena carceraria. Ancora, si specifica – come già faceva il ddl approvato alla Camera (e sul quale Fdi si era astenuto) – che gli elementi da portare di fronte al giudice di Sorveglianza per ottenere l’accesso ai benefici “dovranno essere diversi e ulteriori rispetto (…) alla mera dichiarazione di dissociazione dall’organizzazione criminale”. E per decidere se accogliere o meno la richiesta, il magistrato dovrà “tenere conto delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di ogni altra informazione disponibile”; nonché “accertare la sussistenza di iniziative dell’interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quelle della giustizia riparativa”. Prima di rispondere all’istanza, inoltre, il giudice “ha l’obbligo di chiedere il parere (…) del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto ove ha sede il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo”, nonché di acquisire informazioni dalla direzione del carcere in cui è detenuto e di disporre nei suoi confronti “accertamenti in ordine alle condizioni reddituali e patrimoniali, al tenore di vita, alle attività economiche eventualmente svolte e alla pendenza o definitività di misure di prevenzione personali o patrimoniali”.
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