Balcani, Nelli Feroci: «Sarebbe un vulnus se la Serbia non entrasse in Europa»

TRIESTE Se l’ultimo summit del Processo di Berlino ha dato un’accelerata al processo di adesione dei Balcani occidentali all’Ue, dalle parole dell’ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci, presidente dello Iai (Istituto Affari Internazionali) è chiaro però che Bruxelles non farà sconti a nessuno che non rispetti l’acquis communautaire". Lo abbiamo sentito in occasione della prima di un ciclo di conferenze di Dialoghi europei tutto dedicato ai Balcani occidentali che si è svolta ieri in sala Tessitori del Consiglio regionale.

Balcani occidentali nell’Ue, più facile a dirsi che a farsi, a iniziare dalla Serbia che nell’ambito della guerra in Ucraina ha sposato posizioni filorusse che sono l’opposto di Bruxelles. Come muoversi?

Nel valutare la performance dei Paesi candidati con i quali l’Ue negozia l’adesione ci sono molti criteri che vengono presi in considerazione e uno di questi si chiama grado di allineamento della politica estera di questi Paesi a quella dell’Europa. Non c’è dubbio che nel caso della Serbia questo è un problema, siamo infatti in una clamorosa divaricazione. Belgrado non ha aderito alle sanzioni e non ha condannato l’aggressione russa al’Ucraina.

All’Onu ha votato però per la risoluzione di condanna ne deriva qualcosa?

Ma non ha condannato la Russia in maniera esplicita come fatto dagli altri Paesi europei.

La Serbia mantiene rapporti stretti con Putin. Come fare allora?

Sì lo fa per motivi storici, culturali e per affinità di varia natura. È un problema. Non siamo ancora alla fine dei negoziati per l’adesione i quali, tra l’altro, procedono molto lentamente e in maniera assolutamente insufficiente. Io credo che c’è tempo per migliorare le performance della Serbia su questo come su altri punti, quale ad esempio quello della normalizzazione dei rapporti con i vicini.

E questo ci porta inevitabilmente al nodo Kosovo e alla grossa tensione che vi è in questi giorni nell’area a causa della guerra delle targhe. Come andrà a finire?

Altro tema critico. La Serbia non riconosce l’indipendenza del Kosovo e progressi per la normalizzazione non ci sono stati, mentre ci troviamo davanti spesso a una recrudescenza delle tensioni come in questo periodo per le targhe che nascondono problemi sottostanti ben più grossi.

Anche cinque Stati membri dell'Ue, Spagna, Cipro, Grecia, Slovacchia e Romania, non riconoscono l'indipendenza del Kosovo, dichiarata unilateralmente nel 2008. Come agirà l’Ue?

Per il Kosovo la prospettiva di adesione è molto remota, però per noi una normalizzazione è fondamentale nel percorso di avvicinamento all’Ue.

Lei pensa che la Serbia riconoscerà l’indipendenza del Kosovo?

Oggi come oggi no, ma tutto può evolvere non ci si può chiudere a prospettive che portino a una vera pacificazione in quella regione compreso il riconoscimento d’indipendenza.

Balcani in Europa senza la Serbia. Possibile o sarebbe un vulnus?

Sarebbe un vulnus anche se tutto è possibile. La Serbia è il Paese più importante della regione. Se fosse esclusa sarebbe un allargamento incompleto e forse foriero di ulteriori tensioni.

C’è anche la Bosnia-Erzegovina con l’irredentismo della Republika Srpska e i croati che vogliono diventare entità. Qual è la prospettiva?

La Bosnia deve sottoporre a valutazione 14 benchmark per vedere a che punto è Sarajevo nel consolidamento delle istituzioni create dagli Accordi di Dayton. Purtroppo ci sono spinte e controspinte, lo vediamo continuamente. È un’ entità statuale molto fragile, speriamo che la prospettiva dell’Ue inneschi un processo virtuoso che porti anche al consolidamento dell’assetto statuale un po’ barocco ma che ha portato la pace nei Balcani.