Ciak si gira a Trieste: il film su una storia di minori stranieri nella rete della prostituzione
TRIESTE Arrivano in Italia soli e, troppo spesso, incontrano un destino di soprusi e violenza. Sono i “bambini fantasma”, i migranti minori che partono dall’Albania o dal Kosovo per raggiungere Trieste, il primo porto europeo dopo la tratta balcanica.
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A raccontarli è un film che il regista italo-svizzero Michele Pennetta sta girando a Trieste, dal titolo provvisorio “The White Club”. Il set principale delle cinque settimane di riprese, che termineranno il 16 marzo, è l’Ippodromo di Montebello, altre location saranno l’Avalon Wellness Center and Spa di Borgo Grotta Gigante, il Bosco Bazzoni e il Parco Globojner. Nel cast del film, coprodotto dalla svizzera Beauvoir Films, dalle società italiane INDYCA e Nefertiti Film e dalla slovena Vertigo, oltre all’attrice goriziana Anita Kravos e alla svizzera Aulona Selmani compaiono anche tre dei migliori giovani interpreti italiani: Costantino Seghi, che ha già girato in regione la serie “Eppure cadiamo felici” e il film “La rosa dell’Istria”, Carlotta Gamba e Rebecca Antonaci, la protagonista di “Finalmente l’alba” di Saverio Costanzo. In più, a Trieste con loro è arrivata anche Lena Garrel, figlia di Philippe Garrel.
Come sempre il territorio, grazie al supporto della Friuli Venezia Giulia Film Commission e del Fondo Audiovisivo del Friuli Venezia Giulia, è parte integrante del progetto anche con alcuni attori locali, circa 60 comparse e 16 maestranze della regione fisse sul set, tra le quali la costumista friulana Gilda Venturini, e dieci giornalieri.
Michele Pennetta viene dal documentario: con l’opera prima “’A iucata” ha vinto il Pardino d’Oro al Locarno Film Festival. Anche “The White Club”, il suo primo film di finzione, nasce come documentario: «Ho fatto molta ricerca, parlando anche con Oxfam che si occupa di questi temi», dice il regista.
Cosa ha scoperto?
«Questi ragazzi vengono accompagnati in auto alla frontiera a Trieste, poi o partono coi treni verso Roma, o rimangono in città. Entrano nel sistema di accoglienza per i minori dell’Unione Europea e, dopo anni, possono provare a ottenere un ricongiungimento famigliare. Una parte però cade nei giri della prostituzione minorile. Sono fatti reali, che ho sondato in Slovenia in alcuni club, chiusi anni fa, dove è stato scoperto un traffico di minori dall’est Europa».
Da questa realtà quale storia è scaturita?
«Quella di Mirko, figlio di Ofelia che gestisce un club dove questi ragazzini si prostituiscono, una sorta di “non luogo” sospeso nel tempo. Mirko viene mandato sulla rotta balcanica proprio per prendere due sorelle, ma una viene catturata al confine della Slovenia. L’altra, Nina, torna con lui al club e scombussola gli equilibri. Il senso di colpa di Mirko inizierà a farsi più forte fino a quando deciderà di riportare Nina dalla sorella e tradire la madre per redimersi».
Il club è stato ambientato nell’Ippodromo di Montebello, completamente trasformato…
«Abbiamo ricostruito tutto il primo piano dell’ippodromo: nel film non è un normale night club ma di fatto è una casa. I ragazzini sono lì per scelta e Ofelia è un po’ una manipolatrice “mamma”. È come un universo a parte, molto violento, dove però la sessualità non è mai esibita. Mi sono ispirato al film “Animal Kingdom” di David Michôd ma, grazie alla fotografia di Crystel Fournier (vincitrice anche di un European Film Award, l’Oscar europeo, ndr) l’ippodromo è diventato un personaggio del film, un po’ alla David Lynch. Anche nel documentario ho sempre flirtato con la linea sottile tra il reale e il surreale».
Come sta andando la prima esperienza in un film di finzione?
«Tutto funziona molto bene, gli attori hanno sposato il progetto. I temi sono delicati, per le scene più violente abbiamo lavorato con un coach. E il mio bagaglio di documentarista mi ha aiutato a improvvisare. È un film che parla di argomenti molto attuali, dell’assurdità delle frontiere europee, dove spesso paramilitari fanatici fanno violenza sui migranti, ma anche di come il concetto di potere nella società contemporanea influenza il rapporto tra le persone».