Un altro 8 Marzo di lotta: quest’anno il pensiero va alle donne di Gaza
«Se le nostre vite non valgono, noi scioperiamo» è lo slogan gridato l’8 marzo in piazza dei Mille, culmine della manifestazione transfemminista di protesta indetta per celebrare la Giornata della Donna dal coordinamento di Non Una di Meno. Uno sciopero contro patriarcato, scelte governative che penalizzano le donne, mondo dei consumi, sfruttamento dei più deboli e guerra: la giornata quest’anno è stata dedicata in particolare alle donne palestinesi.
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Il muro dei femminicidi
Una giornata in rosa shocking, il colore del collettivo, iniziata con un appuntamento che si vorrebbe potesse finire: l’aggiornamento del Muro dei femminicidi, nel sottopasso del ponte dei Mulini, con la lettura dei nomi delle donne uccise per mano maschile in questi primi mesi dell’anno. Poi gli striscioni che sintetizzano i temi della protesta e che l’8 marzo non è una festa ma un’occasione di lotta: «Li abbiamo posati nei punti nevralgici che rappresentano i temi che vogliamo mettere a fuoco» spiegano.
Striscioni parlanti
Davanti all’ospedale Carlo Poma per rivendicare la necessità di difendere la sanità pubblica, davanti al tribunale per ricordare il tema della violenza di genere e i femminicidi, un altro davanti al palazzo vescovile sul tema dell’aborto, che in Francia è stato iscritto nella Costituzione, un ultimo davanti alla questura, dedicato ai migranti: «Il diritto di asilo è previsto dalla Costituzione».
Punti ripresi nel pomeriggio in piazza dei Mille con gli striscioni davanti al monumento a Garibaldi - “Lotto marzo, lotto sempre”, “Sorellanza contro la violenza”, “Guerra solo al patriarcato” – e banchetti di *Equal, Mantova for Animals, Arcigay-Mantova e La Boje-spazio sociale.
Appello allo sciopero
Nel testo letto a megafono, le ragioni dell’appello a scioperare l’8 marzo: «Ci opponiamo al governo che tratta la violenza maschile sulle donne come problema di sicurezza; che ha reso ancora più dure le politiche familiste, razziste e nazionaliste che alimentano lo sfruttamento e la violenza; che estende i contratti precari in un paese in cui gli stipendi medi non aumentano da vent’anni». E, ancora: «Lo vediamo nell’erosione del welfare, nello smantellamento del servizio sanitario nazionale, nella chiusura dei consultori pubblici, nella cancellazione del reddito di cittadinanza la cui platea era a maggioranza femminile, nella precarizzazione abitativa, nella difficoltà di accesso ai servizi, nel sovraccarico del lavoro di cura gratuito e malpagato, nelle politiche sessiste e razziste per la natalità, nelle discriminazioni subite dalle famiglie omogenitoriali».