«In montagna per camminare, più che sciare». Così cambiano le nostre abitudini d’inverno
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foto da Quotidiani locali
“Io vedo innanzitutto uno scollamento tra domanda e offerta. Gli operatori di settore, in questo caso il turismo montano, dovrebbero spesso domandarsi cosa chiede il mercato, e reagire di conseguenza. Purtroppo, questo non sempre accade”: così Massimo Feruzzi di JFC, autore dell’Osservatorio skipass, commenta l’esito del nostro sondaggio online, che riguardava proprio la percezione del turismo invernale, alla luce della crisi climatica di cui molto, quest’anno, si sta discutendo.
Hanno risposto oltre duemila persone, un dato ragguardevole. Emerge un quadro in parte contraddittorio, come il tempo che viviamo. C’è piena consapevolezza rispetto al fatto che la montagna stia cambiando, e da questa consapevolezza derivano anche una serie di nuove abitudini. Dall’altra, però, c’è anche non vede o non vuole vedere: tutto come prima, verrebbe da dire.
Partiamo dalla percezione: poco meno di un terzo dei partecipanti riconosce che “fa sempre più caldo” e quasi la stessa quota riconosce che “c’è sempre meno neve naturale” anche se “c’è sempre più gente”.
Dunque, cosa si fa? Dalla percezione alle abitudini, la “riconversione” non è monolitica ma comunque interessante: tra chi cerca comprensori meno cari e meno affollati e chi evita l’alta stagione, siamo al 37 percento, e qui ovviamente anche la leva dei prezzi agisce in maniera molto importante. In un’altra domanda rispetto al cambio abitudini legato all’aumenti dei costi, oltre la metà (esattamente il 55,4 percento) risponde positivamente.
Ecco i risultati principali del sondaggio
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“Ho smesso di sciare ma faccio altro” è una risposta qui apparentemente ridotta (18 percento) che in realtà emerge con tutta la sua forza su un’altra domanda del sondaggio, quella sulle attività primarie: solo il 20 percento dice di sciare, a fronte – e questa è forse una delle più interessanti risultanze – di un 37 percento che in montagna va a camminare. E’ una quota davvero consistente, cui potremmo aggregare il 12 percento dei ciaspolatori. C’è poi un 15 percento che “quota” le soste ai rifugi. Un’altra fetta che non scia. Passare dalla propria esperienza all’individuazione di soluzioni non è cosa semplice.
Così, quando si chiede un pensiero sulla riconversione della montagna, la quota maggiore (pari al 31 percento) ritiene si debba ripensare la monocultura dello sci, un dato in linea con quanto detto sopra. Mentre sono in evidente antitesi le posizioni sui nuovi caroselli e collegamenti, con un 24 percento che chiede lo stop e un 11 percento che invece vorrebbe ampliamenti.
“C’è sicuramente, sullo sfondo – dice Feruzzi – una voglia di stare alla larga dalle masse, di ritrovare pace e autenticità e di vivere la montagna a tutto tondo”. In montagna, da soli, ci vanno in pochi: il 14 percento, secondo il nostro sondaggio. Il resto è diviso molto equamente tra le opzioni famiglia, coppia o con amici: tre variabili che spesso si intersecano, ad esempio le coppie di amici, piuttosto frequenti.
Quanto ai pendolari, probabilmente sono loro i fruitori “half time”, nel senso che la metà degli intervistati dice di sciare due o tre ore al massimo oppure solo la mattina, mentre l’altra metà lo fa tutta la giornata. O almeno, così dichiara. Infine, uno sguardo ai prezzi, inavvicinabili soprattutto in alta stagione e nelle località più gettonate. Detto che solo il 23 percento sostiene di noleggiare l’attrezzatura, la spesa media giornaliera a persona che si deduce dal sondaggio – dice Feruzzi – è di 72,5 euro. Il prossimo sondaggio, visto che andiamo verso la primavera, potrebbe riguardare proprio la fruizione della montagna nelle cosiddette stagioni morte, che morte non sono.