Le nuove tecnologie dividono ancora Oriente e Occidente
Sembrava che, grazie alle nuove tecnologie, la geografia fosse cosa da relegare al passato. Soprattutto, sembrava lo fosse la geopolitica, con tutti i suoi frazionamenti sia fisici che ideologici. Il word wide web, la grande rete globale pareva aver gettato le basi per forme di conoscenza (e accesso a essa) comuni, indipendentemente dai confini territoriali. Una democratizzazione del sapere, ma soprattutto dei mezzi, che quantomeno in un primo momento ha portato alla nascita di grandi apparati sociotecnici e partnership transnazionali.
Il superamento della divisione tra blocco Occidentale e Orientale, dunque, quantomeno lato tecnologie, sembrava essere solo una reminiscenza. L’esempio più lampante viene dall’informatica e dalle telecomunicazioni. Noi occidentali siamo da sempre stati esportatori di processori, importando altre tecnologie e software. Ma non solo, basti pensare che la più grande fonderia di semiconduttori al mondo, fornitore dei chip che alimentano gli iPhone e altri milioni di smartphone, è la taiwanese Tsmc. Azienda che, negli ultimi tempi, si trova al centro di un acceso braccio di ferro tra Usa e Cina.
Da qualche anno il registro è tuttavia un altro. Difficile stabilire quando i rapporti tra Oriente e Occidente, sempre in ambito tecnologico, abbiano iniziato a incrinarsi, ma è possibile delineare un grande spartiacque da cui si è generato un rapido effetto domino. Questo coincide con il divieto imposto dagli Usa, nei riguardi della cinese Huawei. A sancirlo, con una serie di mozioni tra il 2019 e il 2020, il governo Trump. Quello che era un rapporto simbiotico tra il maggiore player tecnologico cinese e gli Usa venne bruscamente interrotto, impedendo sia ai primi che ai secondi di stringere rapporti commerciali e utilizzare le tecnologie dell’altro. La motivazione? La potenziale pericolosità lato privacy – mai neppure vagamente dimostrata – che adottare tecnologie estere, e parimente fornirle, rappresentava per il governo americano. Di lì l’escalation è stata rapida.
La Cina non è stata a guardare, e dopo qualche tempo ha imposto di non poter più utilizzare Windows sui computer degli uffici pubblici. In aggiunta, ha premuto l’acceleratore sullo sviluppo di sistemi operativi statali come Kylin e Unity Operating System (Uos), incentivandone l’utilizzo con l’obiettivo di svincolare la dipendenza da software occidentale. Ma non solo. Otre a sviluppare a implementare software proprietario, la Cina sta facendo altrettanto anche lato hardware, investendo ingentemente anche sulla creazione di processori interamente disegnati e costruiti nel paese del Sol Levante.
Loongson, questo il nome dell’azienda che punta a contrastare i colossi statunitensi Intel e Amd. A oggi le cpu asiatiche sono considerate quattro anni indietro rispetto a quelle dei sopracitati produttori, ma la rapidità della loro evoluzione ha suscitato timore. Tanto che, la notizia è recente, il governo Biden starebbe studiando come limitare l’accesso all’architettura Risc-V, su cui i processori si basano. Tale tecnologia, in parole povere, consiste in un insieme di “istruzioni” necessarie a far funzionare il processore. Il punto è che, essendo open source, ovvero liberamente utilizzabili da chiunque, non si sa bene come poterne impedire l’uso.
Gli attriti passano poi anche dai social, potenzialmente capaci di profilare milioni di cittadini del paese “avversario”. Nel marzo di quest’anno il Congresso degli Stati Uniti ha approvato un disegno di legge che impone alla ByteDance, madre di TikTok, di vendere la piattaforma a una società americana, pena il bando dagli Usa. L’azienda, che ha dichiarato di essere intenzionata a impugnare legalmente la decisione, ha ora nove mesi per fare la sua scelta. Analogamente, proprio qualche giorno fa, la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen non ha escluso la possibilità che TikTok venga bandito anche qui in Europa. E la Cina? Sebbene siano davvero poco usati, Pechino ha da poco obbligato la Apple a rimuovere WhatsApp e Threads dalla versione locale del proprio Store.
In definitiva, dunque, la promessa di un mondo che grazie alle nuove tecnologie si lascia alle spalle i confini – e i frazionamenti – geopolitici si è rivelato un miraggio. L’idillio di una società globale imperniata sui nuovi mezzi di comunicazione e su forme di accesso alla conoscenza comune una chimera. La divisione tra blocco orientale e occidentale si ripercuote – ancora – più che tangibilmente anche nell’eterea società dell’informazione.
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