“Basta con la militarizzazione di scuole e Università”. A Roma l’appello di docenti e accademici: “Educare alla pace”
Dalle convenzioni denunciate tra le Università e la fondazione Leonardo Med- Or, passando per l’affidamento dei corsi di educazione civica alle forze militari e alla presenza costante delle stesse forze armate nel mondo scolastico, fino alla “costruzione di un immaginario di guerra” e alla trappola del ‘duplice uso‘ nel mondo della ricerca. Mentre proseguono in tanti Atenei della penisola la manifestazioni di solidarietà al popolo palestinese, in un clima di repressione e criminalizzazione delle proteste, con gli studenti che da settimane rivendicano la cessazione degli accordi di collaborazione scientifica tra le Università italiane e quelle israeliane, allo Spin Time Labs di Roma diverse decine di docenti, giornalisti e accademici si sono ritrovati per il convegno “La scuola italiana va alla guerra. Comprendere i conflitti, educare alla pace”, organizzato dall’Osservatorio contro la militarizzazione di scuole e Università.
“Abbiamo realizzato un vademecum per fornire a tutte le componenti degli strumenti formali e pratici per contrastare la crescente presenza militare nelle scuole e allo stesso tempo proporre un’idea differente di scuola e di società”, spiegano dall’Osservatorio. Contestando come la presenza di polizia, carabinieri, finanzieri, militari, pur non essendo una novità, si sia ormai intensificata negli ultimi due anni: “Vogliamo denunciare una deriva della scuola, dove compaiono sempre più spesso uomini e donne in divisa per tenere conferenze o lezioni di vario tipo relative alla sicurezza, alla promozione professionale del proprio corpo d’appartenenza, mentre fuori dalle scuole non poche volte capita che le scolaresche vengano condotte in caserme e basi militari per cerimonie o iniziative promozionali, oltre che (nella scuola superiore di secondo grado) per attività collegate ai ‘Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento'”, denuncia Michele Lucivero. Secondo cui “ciò è fuori dalla logica educativa. Dobbiamo costruire un universo simbolico diverso da quello bellicista“. E ancora: “Fondazione Leonardo riempie di soldi le nostre scuole, ci formano e ‘ci addestrano’ come insegnanti a utilizzare il linguaggio dell’Intelligenza artificiale, funzionale alla logica di guerra”.
Ma la militarizzazione passa pure per progetti come quello di “I come Intelligence”, frutto di un accordo tra il ministero dell’Istruzione e del merito del leghista Giuseppe Valditara e il DIS, l’organo a capo dei servizi segreti, come spiega il giornalista Antonio Mazzeo, autore del libro “La scuola va alla guerra”. È stato avviato lo scorso 16 aprile, “per formare gli alunni della scuola secondaria del primo biennio ad apprendere la rilevanza degli stessi servizi segreti e della funzione dell’intelligence. È stata allestita una mostra che si conclude con un test: per chi lo supera c’è una sorta di patentino da ‘007 in erba’. In pratica, sparisce dal mondo scolastico italiano l’idea di una scuola per l’educazione alla pace”, racconta. Ma non è l’unico esempio del legame ormai stretto tra il mondo militare e quello dell’istruzione, con tanto di curricula subalterni “alle logiche di guerra e agli interessi politico-militari dominanti”.
“Anche se il processo di militarizzazione è un fenomeno presente da anni, bipartisan, con l’avvento del governo Meloni, si può registrare un aumento della retorica, così come tentativi frequenti di “revisionismo storico“, spiegano dall’Osservatorio, a partire dagli stessi programmi didattici. Si pensi, precisa lo stesso Mazzeo – “a come viene raccontata la Prima guerra mondiale, viene riproposta la versione de ‘la grande guerra’, con gli stessi valori utilizzati dal Fascismo, come la concezione dell’eroismo. Considerata come una fase di completamento del Risorgimento italiano che permette la creazione di una identità nazionale. Una parola più volte ripetuta nei documenti proposti dai ministeri. Paradossale in una scuola dove un nono degli studenti, pur se nati, cresciuti in Italia, non si vedono invece riconoscere la cittadinanza“.
È invece Michele Lancione, ordinario al Politecnico di Torino, a spiegare nel suo intervento i rischi collegati al ‘Dual Use’ nella ricerca: “Il nostro Ateneo ha molteplici accordi siglati con aziende che operano nell’universo militare, compresa Leonardo Spa, tra le aziende produttrici di armi e sistemi di difesa e sicurezza più grandi al mondo, legati all’insegnamento e alla ricerca. Ricerca che spesso avviene per ambiti civili di Leonardo, come pannelli fotovoltaici per l’aerospazio. Ma mettendo in relazione gli attori e ricercatori si crea una rete sociale immediata, che attraverso il duplice uso, permette il trasferimento tecnologico di quelle tecnologie sviluppate in ambito civile, molto facilmente su quello militare“. E ancora: “Creando questo rapporto diretto, si crea un canale preferenziale. Ma l’Università può offrire un vantaggio strategico al mondo militare? È giusto avere rapporti diretti di committenza con il mondo militare, come avviene da noi al Politecnico di Torino con Frontex?”, accusa Lancione. Perché, aggiunge, “dal Politecnico vengono realizzate delle mappe, delle cartografie tematiche, ma non è una situazione di ricerca, ma di offerta di un servizio, a un’agenzia europea messa sotto inchiesta dalla stessa Ue per i respingimenti contro i migranti e i richiedenti asilo”. La conseguenza, conclude, è “che ci priviamo della possibilità di avere altri rapporti, con agenzie umanitarie e attivisti che lavorano in direzione opposta”. E se la ministra forzista Anna Maria Bernini accusa chi protesta di voler limitare la libertà di ricerca, Lancione ribalta la prospettiva: “In realtà sono questi accordi che limitano la libertà di ricerca“.
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