Visto da Bruxelles. Il paradigma dominante è quello del mercato. Ma l’Europa è prima di tutto una civiltà
L’Unione europea vive un momento di grande incertezza e il nostro continente sembra essere destinato a vivere una lunga fase di declino. Tale situazione è, principalmente, il prodotto di tre fattori: la mancata valorizzazione di una comune matrice spirituale, valoriale e identitaria; il primato della sfera economica su quella politica; la volontà di imporre una ideologia che si autodefinisce “europeista”.
L’Europa è prima di tutto una civiltà. Se vogliamo tenere uniti i popoli che la compongono dobbiamo valorizzare le sue comuni radici. Solo la riscoperta di una comune identità potrà rafforzare la consapevolezza degli Europei di avere un destino comune e spingerli ad essere solidali gli uni con gli altri. Purtroppo l’Unione europea sembra aver dimenticato le proprie radici, in particolare quelle cristiane, tradendo in questo modo lo spirito dei suoi padri fondatori. L’Ue, al contrario di tutti i suoi principali alleati/avversari, ha grosse difficoltà nel definirsi in quanto civiltà, preferendo allontanarsi da tutti i sentimenti identitari ereditati dal passato. La storia, la geografia, l’eredità culturale del nostro continente non sono tenuti nella giusta considerazione e le attuali leadership “europeiste” definiscono l’Ue come post-storica, post-cristiana e post-moderna.
Attualmente il paradigma dominante nell’Ue è quello del mercato. L’Ue privilegia prima di tutto una logica consumistica dove i cittadini sono percepiti perlopiù come consumatori. Se si vuole dare nuova linfa al “sogno europeo” è fondamentale ripristinare il primato della politica sull’economia attraverso il superamento dei parametri di Maastricht e l’abbandono delle politiche di austerità. È necessario incrementare solidarietà e cooperazione effettive attraverso strumenti monetari e fiscali innovativi volti al perseguimento del bene comune. Serve difendere l’economia reale contro l’economia fondata sulla finanza. Realizzare un’autentica economia sociale di mercato, incentrata sul “capitale umano”, sulla tutela delle tecniche di lavoro tradizionali e la valorizzazione delle specificità dei territori e dei prodotti tipici. Bisogna promuovere alti standard sociali e ambientali senza inseguire obiettivi irrealistici come il “Green deal”, valorizzando il ruolo dell’imprenditore che investe e produce.
L’ideologia “europeista”, che guida le iniziative promosse dalle istituzioni comuni dell’Ue, promuove una visione della società nella quale domina l’individualismo, il cosmopolitismo, l’ideologia ambientalista e l’ossessione per la crescita economica. Gli “Europeisti”, in nome del multiculturalismo e del politicamente corretto, stanno rinnegando i nostri usi e costumi e cancellando parti della nostra storia. Il risultato di tale approccio è il disorientamento e la conseguente disaffezione dei cittadini i quali, sempre di più, sono contrari al percorso intrapreso dall’integrazione europea che percepiscono come distante e imposto dall’alto.
Se desideriamo salvare quello che di buono c’è nell’Unione europea dobbiamo riformarla sulla base di valori e proposte politiche libere dal “pensiero unico europeista”. Per iniziare bisogna uscire dalla trappola lessicale/mediatica che etichetta come “anti-europei” tutti coloro i quali sono fortemente critici nei confronti dello status quo e dell’agenda federalista e progressista.
Noi Italiani, con la nostra identità universale e locale, quella di Roma e quella dei mille campanili, abbiamo tutte le carte in regola per rilanciare (ancora una vota) il processo politico in seno all’Unione Europea. Il nostro ruolo nella storia dell’integrazione continentale è sempre stato importantissimo. Dalla definizione delle sue radici spirituali con “l’ora et labora” di San Benedetto da Norcia, passando per l’idealità della Giovine Europa di Mazzini, l’azione istituzionale di De Gasperi e di Gaetano Martino e la visione, controcorrente ma attualissima, di Filippo Anfuso fautore del concetto di “Europa-Nazione”. E proprio ripartendo dalla consapevolezza della ineguagliabile forza propositiva dell’Italianità è possibile salvare l’Unione europea.
Il primo passo da compiere è quello di ridefinire le sue competenze concentrando le iniziative e le risorse solo su pochi, chiari, obiettivi che possono essere raggiunti soltanto a livello europeo. Al contempo si dovrebbe rafforzare il ruolo di guida del Consiglio europeo e limitare quello della Commissione europea che è diventata troppo accentratrice e autoreferenziale. La politica è essenzialmente un bilanciamento tra forze. A livello internazionale nessuna reale indipendenza è possibile per chi non è costituito in entità politiche di larga scala organizzate a livello continentale. Per questo motivo è essenziale un’Europa confederale. Una comunità di stati e di popoli fondata sul principio di sussidiarietà e sulla valorizzazione delle sovranità nazionali chiamate a cooperare sulla base di valori e interessi comuni. La “generazione Erasmus”, oggi diventata adulta, deve dimostrare di essere all’altezza delle sfide del proprio tempo.
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