Gorizia, diffamò l’assessore Romano e il figlio: il consigliere Zotti pagherà 40 mila euro
GORIZIA Condanna significativa nei confronti di Franco Zotti, in relazione al reato di diffamazione, ai danni di Luca Sacellini e della madre, l’assessore Silvana Romano.
Nodo del contendere, i 25 manifesti che erano stati affissi in città sui quali si riportava l’assunzione del figlio dell’esponente della giunta comunale nel Corpo della Polizia locale, risultato vincitore del relativo concorso.
La sentenza è stata pronunciata mercoledì dal giudice monocratico Marcello Coppari. A carico del consigliere comunale una multa di 1.500 euro e un risarcimento per i danni morali quantificato in 20 mila euro a ciascuna delle parti offese, costituitesi a giudizio. Si aggiungono la rifusione delle spese legali per 4.960 euro e il pagamento delle spese processuali.
Il giudice si è riservato 90 giorni ai fini del deposito delle motivazioni alla sentenza.
Ciò che emerge su tutto è il danno morale patito da madre e figlio, che si sono visti riconoscere una somma complessiva di 40 mila euro.
Mercoledì l’udienza ha registrato brevi repliche da parte dell’avvocato Daniele Compagnone, legale di parte civile, e dell’avvocato Silvano Gaggioli, difensore di Zotti.
Gaggioli, in particolare, ha posto l’accento sulla richiesta dei danni delle parti offese (50 mila euro ciascuna) ritenendola «decisamente eccessiva». In tal senso, ha richiesto il rinvio in sede civile per la relativa quantificazione, considerando che Romano è stata rieletta e il figlio è comunque ufficiale di Polizia locale. Il pm aveva chiesto la condanna ad una multa di 900 euro, la difesa l’assoluzione perché il fatto non costituisce reato. Il giudice si è trattenuto in Camera di consiglio per circa mezz’ora, dando poi lettura del dispositivo.
Stringate le argomentazioni in uscita dall’aula. L’avvocato Compagnone ha affermato: «È una condanna importante, in tempi di decadimento culturale è significativo poter contare sulla tutela dell’immagine e della reputazione, soprattutto per chi, come Sacellini e Romano, lavora al servizio della comunità». Così l’avvocato Gaggioli: «Le sentenze non si discutono, eventualmente si impugnano».
La vicenda risale al 23 ottobre 2020, quando il consigliere comunale, leghista poi transitato nel gruppo monocellulare “Legalizziamo Gorizia Zf”, aveva affisso in diversi punti della città i manifesti in questione. L’assessore Romano aveva presentato un esposto ai carabinieri («A tutela della commissione che ha giudicato le prove del concorso, che è stato regolare, alla luce del sole», aveva avuto modo allora di dichiarare).
Il pm, nel corso della requisitoria, aveva sostenuto che i manifesti costituiscono un’oggettiva e soggettiva lesione dell’onore delle persone offese, in particolare dell’assessore Romano, che, tra le altre, deteneva la delega alla Famiglia. E non essendo stato dimostrato il fondamento del contenuto riportato, ha invece creato dannose conseguenze al figlio e alla madre.
In linea i concetti espressi dall’avvocato Compagnone nella sua arringa che, in adesione al pm, aveva rilevato il contenuto “distorto” dei manifesti, «dando a intendere che l’assunzione di Sacellini fosse avvenuta grazie alla madre, assessore alla Famiglia», parlando altresì di «mancato rigore dei fatti reali» nell’escludere quindi l’esimente del diritto di critica politica.
L’avvocato Gaggioli aveva invece chiarito che «nei manifesti veniva dato conto di dati di fatto, per cui l’interpretazione derivante fa parte della morale comune», quindi «è l’opinione pubblica a trarne le conclusioni»