Piverone, dai Bagnod le colture dedicate e il letame diventano metano da cedere alla rete
PIVERONE
Farming for future è un cammino intrapreso dagli imprenditori agricoli che fanno parte del Consorzio italiano biogas (Cib). Un cammino fatto di progetti per la produzione e lo sfruttamento di questa fonte di energia nell’ottica di un avvenire sostenibile nel campo dell’agricoltura e della zootecnia praticando i principi dell’economia circolare.
In Piemonte si contano già oltre 220 impianti e nel territorio canavesano l’azienda agricola Bagnod, a Piverone, è da 17 anni pioniera nella produzione di bioenergia. Mercoledì 12, in occasione della prima tappa del Farming days 24, patrocinata dal Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, ha aperto le sue porte al pubblico dando la possibilità di visitare e conoscere le potenzialità dell’impianto da 400 Sm3/h (Standard metri cubi/ora) recentemente installato per l’ottenimento del biometano. L’evento ha visto la presenza di 27 aziende espositrici socie del Cib ed è stato anche un momento per approfondimenti e confronti con esperti sulle tecnologie più innovative del settore con attenzione anche alle recenti novità in campo normativo.
«Siamo stati fra i primi in Italia, nel 2007, a generare energia elettrica utilizzando tutti i sottoprodotti agricoli», ha spiegato Cristian Bagnod, contitolare dell’azienda che gestisce con altri membri della famiglia. «Un anno fa, grazie ai fondi erogati dal Pnrr, la decisione di riconvertire l’impianto per ottenere biometano che, per sua natura, è sostenibile in quanto completamente biologico». Come tutti gli anni, Farming days fa tappa in siti all’avanguardia dove si fanno prove sul campo dando ai visitatori l’opportunità di conoscere il funzionamento della tecnologia. «Ci teniamo a divulgare il nostro lavoro che è sempre più indirizzato a preservare l’ambiente dal momento che il ciclo di digestione anaerobica, che porta alla degradazione della biomassa, avviene secondo un processo assolutamente naturale che non lascia alcun tipo di scoria», ha proseguito Bagnod.
La materia prima
In sintesi: i reflui zootecnici e gli scarti agricoli organici vengono conferiti in giganteschi fermentatori dove subiscono il processo di digestione anaerobica durante il quale si genera biogas. Quest’ultimo viene poi sottoposto a un processo di purificazione, detto upgrading, in serbatoi con l’impiego di carboni attivi che scremano il prodotto dalle impurità. In seguito viene fatto passare in membrane alla pressione di 12 bar per ottenere biometano ad un livello di purezza molecolare pari al 99%, requisito imprescindibile perché nella cabina della Snam, alla quale viene pompato tramite un compressore, possa essere immesso in rete. Ma il biogas è solo una parte del risultato della fermentazione.
Non si butta via niente
«Dal ciclo produttivo si ottiene anche il digestato, un fertilizzante biologico che ci consente di ridurre l’impiego di concimi chimici di sintesi e che spargiamo nei nostri vigneti e nei nostri terreni per accrescere le colture con le quali nutriamo pecore e bovini in lattazione», precisa l’imprenditore. «La piattaforma del biogas è l’unica di energia rinnovabile che si può programmare, nel senso che si può gestirne la produzione e anche l’immagazzinamento a differenza di un fotovoltaico o un eolico la cui energia non è accumulabile, e non scordiamo che l’Italia è il primo Paese in Europa per capacità di stoccaggio del metano». È la consapevolezza di poter contribuire in maniera sostanziale alla decarbonizzazione unita alla diminuzione della dipendenza da fertilizzanti non naturali a muovere da anni le scelte dell’azienda Bagnod. Gli impianti per ricavare biometano creano anche un indotto occupazionale sul territorio attraverso lavori per mantenere in efficienza l’apparato così come per spargere il digestato sui campi. «Il gruppo di aziende agricole che fanno capo alla nostra famiglia danno lavoro a circa 100 persone producendo così una ricaduta degli incentivi del Pnrr direttamente nel luogo dove sono stati erogati», ha rilevato Bagnod il cui sguardo è già rivolto al 2030, quando si ritiene che il biometano potrà contribuire fino al 15% del fabbisogno di metano.
«L’obiettivo è molto ambizioso ma complesso, perché sono installazioni che richiedono almeno 2 anni dall’autorizzazione alla loro realizzazione, tuttavia ne esistono già alcune pilota che, oltre a produrre metano, arrivano a stoccare, per poi essere venduta, CO2 impiegata per gasare bibite, fare sanificazione o produrre ghiaccio sintetico. L’implementazione di queste tecniche dipenderà anche dal dettato normativo che le disciplinerà e dalla sostenibilità economica che garantirà per affrontare investimenti decisamente onerosi». Guardando verso l’imponente struttura che a breve entrerà in funzione Bagnod conclude: «Considerati i notevoli margini di sviluppo nel campo della digestione anaerobica siamo ancora e sempre più sbalorditi, dopo 17 anni, dalle opportunità che si aprono di fronte a noi». paolo airoldi