Imam d'Italia, i predicatori della porta accanto
Venerdì 7 giugno, giorno di preghiera, l’imam radicale Zulfikar Khan pronuncia un sermone elogiando i responsabili dell’attacco stragista nei kibbutz israeliani. «Non dobbiamo avere la vergogna di dire che Hamas non è un’organizzazione terrorista. Questa è un’organizzazione dei mujaheddin. Terroristi sono questi vigliacchi, codardi, bastardi che ammazzano i figli (dei palestinesi, ndr)» riferendosi all’offensiva israeliana a Gaza. Folta barba grigia, tunica bianca, sguardo fiammeggiante, il pachistano predica in italiano dallo scranno del Centro islamico Iqraa di Bologna. Poche ore dopo avere postato il video su Facebook, cancella la frase pro Hamas. E la sostituisce domenica con un nuovo video e una dichiarazione più sfumata: «Allah sta aiutando i mujaheddin. Tanti hanno paura di dire che Hamas sono mujaheddin e stanno combattendo per il diritto contro questi terroristi (israeliani, ndr)».
Khan è uno dei predicatori islamici in Italia della galassia radicale che l’antiterrorismo e i servizi segreti monitorano in maniera preventiva. «Cattivi maestri, ma la vera bomba innescata è la seconda generazione di giovani musulmani, bacino fertile per la radicalizzazione. Fenomeno che si è accentuato dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre grazie al collante della lotta palestinese» dice una fonte dell’antiterrorismo di Panorama. I numeri impressionano: 500 imam più o meno fai-da -te risulterebbero «attenzionati». Le moschee ufficiali sono poche, ma i centri islamici e di preghiera, talvolta ricavati nei posti più inadeguati, come i garage, sarebbero oltre 1.500. Ognuno conta uno o più religiosi. Antiterrorismo e intelligence li hanno mappati tutti. «L’obiettivo è avere un “sensore” in ogni sala di preghiera» spiega la fonte «che può significare un infiltrato, sorveglianza elettronica, ma anche solo l’efficace arma del dialogo con l’imam o esponenti di spicco della moschea più o meno fai-da-te».
Quando viene superata la soglia d’allarme si procede all’espulsione. Come è successo in aprile all’imam Ahmed Kabir, di Dergano, quartiere di Milano, che guidava la moschea abusiva di via Zambelli. Il ministero dell’Interno lo ha rimandato in Bangladesh «per motivi di ordine e sicurezza pubblica». Khan, l’imam di Bologna, tiene lezioni di pratiche islamiche anche ai bambini. Il 24 febbraio, durante un corteo pro Palestina a Milano, ringrazia il leader del sindacato marxista «Si Cobas», Aldo Milani, per l’organizzazione della manifestazione. E poi con microfono e altoparlante montato su un furgoncino ribadisce che la guerra a Gaza è «un genocidio pianificato, progettato da questi assassini (gli israeliani, ndr), sostenuti dall’America, dal Regno Unito». Alla vigilia di Pasqua sentenzia dal pulpito del centro islamico di Bologna riferendosi all’Italia ha minacciato: «Coloro che si schierano con Israele e con l’America faranno una brutta fine».
Mohammed Hannoun è un ingegnere-predicatore di Genova, dove tiene i suoi sermoni. Presidente dell’Associazione palestinesi in Italia è in prima linea nelle manifestazioni di appoggio a Gaza. «Chiediamo a tutti gli arabi (…) di cacciare tutte le ambasciate israeliane, chiuderle e trasformarle in centri di resistenza» è l’appello di Hannoun al corteo filo palestinese di Milano alla vigilia di Pasqua. E rincara la dose con «un applauso per la resistenza dello Yemen, un applauso per la resistenza del Libano, dell’Iraq...». Il riferimento è agli Houti che minacciano il traffico mercantile nel Mar Rosso, gli Hezbollah nella terra dei cedri, che hanno ingaggiato uno scontro quotidiano con Israele e le milizie filo-iraniane a Baghdad. Hannoun è noto per il suo appoggio a Hamas. Alcune foto lo ritraggono con i pezzi grossi del movimento islamista, Ismail Hanyeh e Khaled Mashaal. Dopo la strage del 7 ottobre dichiara che «l’attacco di Hamas è legittima difesa». E su Facebook posta slogan che non lasciano dubbi: «Dal fiume (Giordano, ndr) al mare, la Palestina sarà libera». La fonte dell’antiterrorismo conferma che «Hannoun è la figura di riferimento di Hamas in Italia. Fa parte della rete creata in Europa con l’obiettivo principale di raccogliere fondi». Gli israeliani, ben prima del 7 ottobre, avevano chiesto al nostro Paese di sequestrare i conti di Hannoun sospettato di finanziare la frangia estremista palestinese con mezzo milione di euro. La magistratura ha indagato, ma l’inchiesta è finita nel nulla a causa della mancata collaborazione dell’Autorità nazionale palestinese.
Un’altra spina nel fianco sono i predicatori Tabligh, itineranti, come Khan, che fanno proseliti soprattutto nella comunità pachistana e bengalese opponendosi a qualsiasi integrazione in nome della sharia. «L’attività di questi predicatori è stata segnalata presso centri islamici sparsi in tutto il territorio nazionale e il Movimento risulta suddiviso in cinque consigli regionali: Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Lazio-Umbria-Campania-Isole» scrive Giacalone in un dossier su «integrazione ed estremismo in Europa» per il Centro Macchiavelli. Quasi la metà dei luoghi di culto non riconosciuti si trovano fra il Nord e il Centro Italia. A Roma sono in aumento le moschee abusive salite a 53 con alcune sotto i riflettori, come il seminterrato della Al Huda a Centocelle. Hamid Saidawi, l’imam responsabile della sala di preghiera è un membro di spicco del movimento Tablighi Jamaat in Italia convinto che «l’Occidente abbia fallito» e «vada curato con le regole islamiche».
I cortei e le occupazioni delle università pro palestinesi sono terreno di «conquista» per elementi come Brahim Baya, portavoce della Moschea Taiba di Torino e segretario dell’associazione Partecipazione e spiritualità musulmana. Il 17 maggio scatena una bufera con il suo sermone in una delle sedi occupate dell’Università di Torino per «intifada studentesca». Baya arringa un gruppetto di giovani universitari spiegando che «in Palestina» si combatte «un jihad compiuto da donne, uomini, bambini». E «ognuno con quello che può contribuisce a questa lotta di liberazione che è cominciata dal primo momento in cui i sionisti hanno calpestato quella terra benedetta». Secondo fonti di intelligence l’influencer islamico «fa parte di Giustizia e carità, un gruppo marocchino anti monarchico, che in Italia ha un reticolo importante. È una costola dei Fratelli musulmani». L’antiterrorismo lancia appunto un chiaro allarme sulle seconde generazioni islamiche «italiane»: «Abbiamo assistito a un risveglio netto di predicatori e figli di imam fin dalle proteste No pass ai tempi del Covid». Adesso il potente collante è la causa palestinese. «Gaza attrae come una calamita gli adolescenti, che prima spaccavano le vetrine del lusso a Torino e adesso attaccano la Brigata ebraica a Milano» spiega la fonte di Panorama. I più pericolosi sono i giovani egiziani, che si sentono «cittadini di serie B».
L’ingaggio in rete con tematiche antioccidentali, anti americane e anti sioniste, che trovano terreno comune con l’estremismo di destra, inizia a 14 anni. Su TikTok fanno i bulli inneggiando al Jihad, la guerra santa. A Roma propaganda e radicalizzazione virtuale è in mano a Maya, blogger e influencer islamica, che scende anche in piazza. A Milano nei cortei opera un’altra donna, Palestine, figlia di un collettore di fondi del cerchio di Hannoun. Uno dei gruppi più organizzati e decisi è quello dei Giovani palestinesi d’Italia. E stanno spuntando anche i veterani in esilio delle vecchie formazioni estremiste come il Fronte popolare di liberazione della Palestina. potenzialmente enorme».