Il grande business del tennis
Dimenticare Parigi sognando Parigi. Non è uno scioglilingua, ma il sentimento del tennis italiano che sale sul tetto del mondo. Se al recente torneo Roland Garros ha perso tre finali su tre (comunque c’erano arrivati: Jasmine Paolini, Sara Errani, Simone Bolelli e Andrea Vavassori) con Jannik Sinner numero uno al mondo e solo italiano a essere arrivato così in alto, fermato in semifinale, ora punta alle Olimpiadi per vincere medaglie sonanti. Ma oltre che un’eccellenza dello sport, il tennis per l’Italia è un grande business.
Nel 2023 si è fatto il bis della Coppa Davis - la prima fu nel 1976 con Adriano Panatta, Paolo Bertolucci, Corrado Barazzutti e Nicola Pietrangeli capitano non giocatore -, le ragazze sono stabilmente tra le migliori della Billie Jean King Cup (omologo femminile della Coppa Davis maschile) e questo fa del nostro Paese una sorta di terra promessa della volée. Siamo vicini alla narrazione della mitica Florida di Nick Bollettieri (figlio di immigrati italiani) che è stato il motore del tennis moderno (André Agassi e Marija Sharapova sono stati suoi atleti) con una location tutta italiana: il Piatti Center di Bordighera (non a caso qui fu fondato nel 1878 il Lawn Tennis Club, il primo circolo d’Italia) che è nel ristrettissimo novero delle migliori «accademie» della racchetta del mondo. Studiare tennis può costare fino a 70 mila euro all’anno. Se si diventa Jannik Sinner sono bazzecole: solo di premi il fenomeno altoatesino ha riscosso 12 milioni di euro. Ma c’è anche chi come Renzo Furlan, ex giocatore di ottima caratura, punta su un’atleta e la fa crescere.
È il caso di Jasmine Paolini - toscanissima 28enne di Bagni di Lucca - solo 1,63 di altezza, un concentrato di intelligenza e potenza - che sotto l’ala di Furlan in un anno è esplosa fino a salire al numero sette del mondo tra le ragazze ed è, in coppia con la «veterana» Sara Errani, al numero due del ranking per quel che riguarda il doppio femminile. Tanto che se Sinner è un fenomeno assoluto, di Jasmine si parla come la nuova stella del circuito degli Slam proprio perché il suo gioco è stato plasmato sulle sue caratteristiche psico-fisiche da Furlan. Il quale è uno dei 12.741 maestri di tennis in Italia che curano almeno due milioni di giocatori che spendono tra i 15 e 60 euro all’ora per imparare a cui si aggiungono tra i 12 e 20 euro all’ora per giocare su oltre 20 mila campi. Per il Coni il tennis è il terzo sport più praticato in Italia, ma allargando lo sguardo al mondo si contano 95 milioni di tennisti (Global Tennis Report 2022). Si spiega così perché i giocatori più forti abbiano contratti di sponsorizzazione milionari. Novak Djokovic - appena spodestato da Sinner come numero uno - in un anno guadagna di monte premi 16 milioni di dollari che diventano 38 con le sponsorizzazioni ed è accreditato di un patrimonio personale di 280 milioni di dollari. Un po’ di più dell’impatto che le Finals Atp (torneo che mette di fronte gli otto più forti giocatori del mondo alla fine dell’anno tennistico) hanno avuto sull’economia di Torino. La stima della Federtennis - quest’anno si replica - è di circa 230 milioni di euro: fatturato proprio pari a 70 milioni, con un surplus per lo Stato di 50 milioni e circa 1.500 posti di lavoro creati. Sempre secondo la Federtennis, gli Internazionali di Roma - con un fatturato di sola biglietteria di 24 milioni di euro per 350 mila presenze - hanno un impatto di 400 milioni di euro tra sponsorizzazioni televisive, pubblicità, merchandising e turismo. E per capire cosa significhi in termini anche di promozione dello sport, c’è l’impressionante balzo del volume di affari della Fitp che si è incrementato del 900 per cento in venti anni passando da 17 milioni del 2003 a oltre 170 milioni del 2023. Questo spiega in parte anche perché l’Italia sia esplosa positivamente nei risultati. Che alimentano di nuovo un indotto industriale molto significativo.
Siamo senza dubbio il Paese leader nello stile con cui ha vestito i giocatori. Se René Lacoste, aiutato dall’industriale André Gillier, fu il primo a vestire la sua maglietta col coccodrillo imitato subito dopo dal britannico Fred Perry, spetta a Lea Pericoli il primato di aver svecchiato l’abbigliamento in campo. Le sue minigonne a fiorellini e le mutandine di pizzo che scandalizzarono quasi settant’anni fa Wimbledon (unico torneo dove ancora si gioca solo vestiti di bianco) segnarono anche molti punti a favore della «liberazione» delle donne; sono state il cambio di passo nell’abbigliamento tennistico. Ha provato a imitarla Camila Giorgi che è scomparsa improvvisamente ritirandosi e facendo perdere le proprie tracce che indossava sui campi abitini e intimo firmati «Giomila», creati dalla madre Claudia.
I marchi italiani più prestigiosi che hanno accompagnato i campioni del tennis sono senza dubbio la Fila (vestiva da Adriano Panatta a Björn Borg) ora di proprietà coreana, Ellesse ora di proprietà della Penthland inglese, Robe di Kappa (possiede anche Superga) rimasta a tenere il vessillo tricolore. Ma ora sui campi si sono affacciati anche i grandi stilisti. Giorgio Armani con EA7 e Hugo Boss vestono alcuni grandi campioni. Jasmine Paolini è legata ad Asics (giapponese) e Sinner indossa in campo Nike (contratto da 15 milioni l’anno per dieci anni), ma stanno diventando importanti testimonial dei nostri stilisti. In particolare Jannik è diventato «l’uomo Gucci» e Louis Vuitton ha risposto assoldando l’ex campione Roger Federer. Al recente Pitti Uomo l’abbigliamento stile tennis ha fatto tendenza con aziende come la Macron (bolognese) e Kiton (napoletana) lanciate in questa sperimentazione: fondere la divisa da tennis con l’abbigliamento. Anche perché il piatto è ricco. Il fatturato delle divise per lo sport è stimato sui sette miliardi e il tennis vale più o meno un terzo. Dove l’Italia è rimasta indietro, la produzione di racchette e palline. Un tempo battere una Pirelli con una Maxima - era prodotta dalla Sirt, nata anch’essa come il tennis a Bordighera - mitica racchetta di legno con le corde in budello era il massimo. Ma può darsi che tutto torni.
Intanto è scoppiata la «padel-mania». Nato in Messico, questa sorta di tennis semplificato ha preso più piede del vecchio squash a cui si ispira. È talmente sviluppato che la Federtennis ha aggiunto una «p» alla sua sigla (da Fit a Fitp). Perché? I campi crescono di oltre il 23 per cento all’anno (siamo quasi a 7 mila), si disputano in Italia circa 997 mila partite con 180 mila giocatori stimati che pagano da 37 a 48 euro per usare il campo un’ora e mezzo con racchette che possono arrivare oltre i 300 euro di prezzo (ma si parte da poco sopra i 40). È un altro «grande slam».