L'oro africano della Wagner
Con la forza delle armi, i mercenari «di Stato» russi allargano i loro business e la loro influenza in molti Paesi del Continente nero, a cui sottraggono miliardi di dollari in risorse preziose. Proventi utili a finanziare la guerra in Ucraina.
L’invasione dell’Ucraina ha un costo vertiginoso, e alla Federazione Russa serve liquidità. I ricavi dal gas un tempo venduto all’Europa sono venuti meno, ma tra le risorse di cui dispone Vladimir Putin ce n’è una importante: le cospicue entrate del Gruppo Wagner, i «mercenari di Stato» che continuano a procurarsi commesse e a fare affari in Africa. Da febbraio 2022, per dire, nelle casse dello Stato russo sono entrati il corrispettivo di oltre 2,5 miliardi di dollari in oro grazie proprio alle operazioni dei mercenari, che si sono concentrate in tre Paesi strategici: Repubblica Centrafricana, Mali e Sudan.
Lo rivela il «Blood Gold Report 2023», che evidenzia come la crescente influenza russa sia legata soprattutto alle estrazioni minerarie, ormai di fatto sotto il controllo dei fucili dei contractor di Mosca. Il Gruppo Wagner aveva inaugurato questo modello di business già in Siria, dove Bashar al-Assad ha spalancato le porte alle soldataglie private del Cremlino, offrendo loro una parte dei ricavi provenienti dai giacimenti petroliferi sottratti al controllo dello Stato islamico. Attualmente, anche in questo modo la Russia sta ripianificando l’economia nazionale «di guerra» assicurandosi manu militari i diritti minerari, contrabbandando oro e accettando pagamenti in contanti dal commercio dei metalli preziosi. In cambio, il modello è offrire ai governi degli Stati falliti un sostegno fatto di coercizione e pallottole, per mantenere al potere dittatori in difficoltà a causa delle minacce ora delle milizie jihadiste, ora dell’instabilità insita nei Paesi del Terzo mondo.
Così facendo, la Russia limita le perdite e può pensare di rafforzare la sua influenza a livello globale. «Le operazioni commerciali del Gruppo Wagner in generale, e le attività in Africa in particolare, contribuiscono non solo al finanziamento della guerra della Russia contro l’Ucraina, ma anche al più ampio obiettivo strategico del Cremlino di destabilizzare l’ordine internazionale basato su regole e sconvolgere il panorama politico interno in Europa», si legge nel dossier. Il Gruppo Wagner è attivo in Africa almeno dal 2017, quando il defunto comandante Yevgeny Prigozhin - che sarà poi ucciso su ordine del Cremlino nel giugno 2023 per aver tentato golpe contro Putin - invia per la prima volta in Sudan le sue truppe allo scopo di puntellare il regime di Omar al-Bashir. Nel 2019, dopo che un colpo di Stato ha rovesciato al-Bashir, la Wagner riesce a mantenere il «contratto per la gestione della sicurezza» del palazzo presidenziale e la protezione dei membri del governo di transizione. Nel 2021, quando un secondo golpe porta al potere il generale Abdel Fattah al-Burhan, la Wagner è pronta per il salto di qualità: Al-Burhan offre ai miliziani russi un accesso senza precedenti all’industria dell’oro, in cambio del sostegno e della protezione della Wagner.
Da allora, il gruppo gestisce direttamente le miniere e un importante impianto di lavorazione dell’oro attraverso una serie di società di comodo, grazie a una legge deroga che aggira le restrizioni locali sulla proprietà straniera. Dal 2021 e fino alla metà del 2022, sono stati almeno 16 i carichi di metallo giallo partiti via aerea dal Sudan con destinazione la base militare di Latakia, in Siria, anch’essa controllata dalla Russia. Secondo la Cnn, quegli aerei volavano con documenti falsificati che indicavano merci a basso costo come carico del trasporto, «consentendo così a miliardi di dollari in oro di sparire dallo Stato sudanese e di privare il Paese colpito dalla povertà di centinaia di milioni di entrate statali». Anche nella Repubblica Centrafricana la Wagner ha messo le mani sull’oro africano, ottenendo nel 2018 i diritti sulla miniera di Ndassima in cambio, anche in questo caso, di servizi di sicurezza. Ottenute dagli americani, immagini satellitari del febbraio 2022 (allo scoppio dell’invasione dell’Ucraina) e del maggio 2023, hanno disvelato la rapida espansione delle operazioni minerarie e relative infrastrutture nel giro di appena un anno. Un’espansione descritta dagli analisti come «particolarmente importante per la Russia poiché mira a contrabbandare oro e altre materie prime verso mercati scarsamente regolamentati per compensare i danni delle sanzioni occidentali». A questo proposito, un dispaccio del governo statunitense stima che i profitti potrebbero arrivare fino a un miliardo di dollari l’anno.
Anche in Mali la Russia, attraverso l’opera di penetrazione della Wagner, ha tentato di fondare compagnie minerarie «private» per indirizzare le operazioni locali, ma in questo caso gli investimenti internazionali esistenti lo hanno reso impossibile. Perciò ora il Gruppo di contractor agisce in maniera meno sfacciata, accettando pagamenti in contanti dalla giunta militare per i servizi di sicurezza - circa 10 milioni di dollari al mese - che tuttavia ruotano ancora intorno all’industria dell’oro maliana, dominata da quattro società che complessivamente garantiscono il 50 per cento delle entrate fiscali dello Stato. In Mali, Sudan e Repubblica Centrafricana, dunque, i diritti minerari sono appannaggio russo, ma rappresentano solo la punta dell’iceberg per Mosca, che qui intende instaurare rapporti più ampi e durevoli con le autorità locali. Un anno dopo il primo arrivo di Wagner in Mali, infatti, il governo ha iniziato a ricevere spedizioni di elicotteri e aerei militari dalla Russia. In Sudan, invece, il governo sta autorizzando la costruzione di una nuova base navale che potrebbe ospitare i sottomarini nucleari di Putin. Quanto alla Repubblica Centrafricana, anche qui, come dichiarato da un rappresentante del governo, Bangui vorrebbe che la Russia costruisse «una base militare e il governo ha già fornito un appezzamento di terreno a Berengo che potrebbe ospitare 10 mila soldati».
Oltre a espandere la propria presenza militare ricavandone raggaurdevoli entrate per le casse dello Stato, la Federazione russa sta sfruttando le sue ramificazioni africane per rafforzare la propria immagine sulla scena mondiale: non a caso, l’estate scorsa Mosca ha ospitato il vertice Russia-Africa, accogliendo 17 capi di Stato e 49 delegazioni, con il presidente della Repubblica Centrafricana che si è spinto ad affermare come «il sostegno russo è riuscito a salvare la democrazia nel nostro Paese». Il fatto che il Cremlino possa contare sul sostegno di non poche nazioni africane è una chiave anche per ottenere voti all’Onu, come dimostrano queste prese di posizione: la fallita risoluzione dell’Assemblea Generale del 2014, che condannava l’annessione russa della Crimea; la fallita risoluzione del 2018, che esortava Mosca a smilitarizzare il Mar Nero e il Mar d’Azov; la fallita risoluzione del 2022, che denunciava il tentativo di annessione russo di quattro regioni ucraine.