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Июнь
2024

Willie Peyote in concerto a Spilimbergo: nei miei ricordi la marilenghe

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SPILIMBERGO. «Sono contento di tornare in Friuli: mia nonna si è sempre definita friulana perché, pur essendo come me torinese, nel periodo della guerra si trasferì a Buja; mi parlava in friulano e da bambino è una zona che ho frequentato, fa parte dei miei ricordi».

Willie Peyote approda al Spililand Summer Festival domenica 30 giugno, alle 21.30. Pseudonimo di Guglielmo Bruno, classe ’85, Willie Peyote mescola cantautorato e rap, con testi che raccontano i tempi moderni.

Willie, che spettacolo porta a Spilimbergo?

«Dal vivo punto sempre sulla musica suonata, ho la fortuna di avere dei grandi musicisti che mi onorano della loro presenza sul palco. Cerco di lasciare più spazio possibile a loro, mi faccio piccolo. Mi piace sentirli suonare e spero sia così anche per il pubblico. Ci sono tanti riferimenti alla musica che ci ha formato, con citazioni e tributi».

Dei suoi classici cosa non può mai mancare?

«Una decina di pezzi che non posso non includere, tra cui “Ottima scusa” e “C’era una vodka”. A me fa piacere che in qualche modo sia il pubblico a scegliere la scaletta, se ha voglia di sentire certi brani è bello accontentarlo».

Scrittura, studio di registrazione, live: fasi complementari. Quale preferisce?

«Si intrecciano. In fase di composizione già si pensa alla resa dal vivo. Preferisco la parte dei concerti».

Possiamo definire il suo genere, prendendo in prestito Dargen D’Amico, “cantautorap”?

«Rispetto a Dargen mescolo ancora più elementi, c’è anche la black music. Ma non mi sono mai posto il problema di incasellarmi. Cerco di mischiare tanti ingredienti nelle giuste dosi».

Tra i suoi ascolti ci sono anche gli Arctic Monkeys vero?

«È forse il mio gruppo preferito».

E quando rappa salta fuori il primo Fabri Fibra?

«Se non avessi ascoltato certi suoi dischi non avrei fatto questo mestiere. È un pezzo fondamentale della mia formazione».

C’è vicinanza con i concittadini Subsonica?

«Sono cresciuto ascoltandoli e poi ho avuto la fortuna di collaborare con loro. Se si fa musica a Torino non si può prescindere dai Subsonica, siamo tutti figli loro».

Il suo nuovo ep “Sulla riva del fiume” chiude la “Trilogia sabauda”. Cosa succederà dopo?

«In realtà deve uscire ancora l’altra metà del disco per completare. E poi, “di doman non c’è certezza”».

Canta: “Con le barre/ mi ci sono comprato casa”.

«Tipico dei rapper: fare i gradassi! Però ho avuto un riscontro superiore a quello che mi aspettavo e sono contento dei risultati raggiunti».

Rivendica però il diritto di “fare schifo”?

«Sono anche molto bravo a metterlo in pratica, in un mondo in cui bisogna sempre eccellere fare schifo è un lusso, liberatorio».

I numeri di ascolti e follower sembrano un’ossessione. Ne sente il peso?

«È inevitabile. Una sensazione della nostra epoca che subiamo un po’ tutti, chi fa musica magari ancor di più».

“Do di matto/ se vi sento dire ancora/ resilienza”. Altre parole fastidiose?

«Dopo la mia canzone hanno un po’ smesso con resilienza. Oggi si esagera con storytelling. Empatia anche è un po’ usata a sproposito».

Cosa la infastidisce?

«Nella musica l’immediatezza di produzione che toglie profondità».




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