Delitto Pamio: «Manca una nuova prova che scagioni Busetto oltre ogni dubbio»
Si chiama “revisione”, ma - se accolta - significa “scarcerazione” immediata e definitiva. E secondo i giudici della Corte d’Appello di Trento, l’ormai 61enne Monica Busetto non ha diritto alla revisione del processo che l’ha vista condannata in via definitiva a 25 anni di carcere, per l’efferato omicidio dell’anziana vicina di casa Lida Tiffi Pamio. E, infatti, è tornata in carcere a Verona.
Così avevano deciso già a a marzo, ma ora sono state pubblicate le motivazioni della sentenza. Per la Corte, la difesa non avrebbe prodotto «quel dato nuovo, estrinseco rispetto a quelli già valutati, suscettibile di sovvertire il percorso del giudice che ha ritenuto la colpevolezza dell’imputata».
Busetto non va scarcerata, anche se di quella morte si è dichiarata colpevole un’altra donna: Susanna “Milly” Lazzarini, arrestata quattro anni dopo, all’indomani del brutale omicidio di un’altra anziana.
E allora? Per la Corte - che ha respinto il ricorso presentato dagli avvocati Alessandro Doglioni e Stefano Busetto - non sarebbero in conflitto le sentenze (quella di Cassazione per Busetto e quella del giudice per le udienze preliminari per Lazzarini) che hanno portato alla condanna di entrambe le donne per il delitto Pamio. Ma la difesa non molla e annuncia ricorso in Cassazione.
Il riassunto delle puntate precedenti
È una storia nera molto conosciuta, ma va ricordata, per provare a capirci qualcosa. Inizia con l’orribile delitto dell’87enne Lida Taffi Pamio, il 20 dicembre 2012: l’anziana venne trovata stesa a terra nella sua abitazione, con una palla di carta in bocca, il cavo del decoder della televisione attorno al collo, il corpo trafitto daferite inferte con ben quattro diversi coltelli della sua cucina, tre dei quali spezzati nella furia dell’omicidio.
L’ex operatrice socio sanitaria mestrina, vicina di casa, venne arrestata un anno dopo. Inizialmente, gli investigatori iniziarono ad intercettarla, perché si erano convinti che l’omicida abitasse nel palazzo e tra le due donne c’era stato qualche screzio banale di vicinato. Al telefono, Busetto non aveva avuto parole gentili verso la vicina morta. Nessuna prova della sua presenza sulla scena del crimine, ma a convincere i giudici è stato un microscopico frammento di Dna trovato su una catenina d’oro spezzata, saltata fuori mesi dopo il delitto da un cassetto di casa Busetto.
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Tre picogrammi, una quantità infinitesimale anche per la letteratura scientifica forense, tanto che la prima consulente medico legale della Procura non aveva trovato alcunché. Mesi dopo, è il Laboratorio della Polizia scientifica di Roma a “moltiplicare” la traccia e decretare: il Dna sulla collanina è di Lida Taffi Pamio. Per la difesa un caso di contaminazione tra prove. Per i giudici la “pistola fumante”.
La collanina diventa così – per la Corte d’Assise – la prova regina della colpevolezza di Busetto. Mettendo negli anni a tacere un’altra parte del racconto di questa storia: il 29 dicembre 2015 viene arrestata Susanna Lazzarini per l’omicidio dell’81enne Francesca Vianello, strangolata con un cordino. Il movente: una lite per un prestito di 100 euro.
“Milly” Lazzarini ammette subito il delitto Vianello e – qualche tempo dopo – racconta di essere sempre lei ad aver ucciso anche la signora Lida, entrambe amiche della madre: gli investigatori trovano così un riscontro tra il suo Dna e una traccia biologica rimasta sino ad allora ignota, sulla scena del crimine. Per questo delitto anche Lazzarini – in un processo separato – sarà infine condannata a 20 anni, oltre ai 30 per l’omicidio Vianello.
Per tre interrogatori – primavera 2016 – “Milly” si assume ogni colpa, scagionando Busetto, nonostante l’incalzare delle domande degli investigatori. Ma nell’ottobre 2016 cambia versione: una prima volta dice di aver trovato Monica già in casa, poi mette a verbale che l’hanno uccisa entrambe: «È entrata e le ha dato il colpo mortale». Racconto inverosimile anche per i magistrati, che credono però al Dna. Per il giudice di primo grado che condanna Lazzarini - inoltre - la chiamata in correità di Busetto sarebbe proprio la prova della sua innocenza.
Perché Trento dice “No”
Nel ricordare che nel valutare un’istanza di revisione non si rifà un processo sugli stessi fatti, i giudici della Corte di Trento hanno ritenuto che non sia stato introdotto dalle difese «quel dato nuovo, che - a detta della Corte di Cassazione -in termini di ragionevole sicurezza, evidenzi come il compendio di prove originario non sia più in grado di sostenere la penale responsabilità dell’imputato oltre ogni ragionevole dubbio», che va prosciolto. Anche per la Corte, le parole di Lazzarini quando accusa Busetto «risultano inverosimili e non univoche, non articolate e dettagliate (...) non confortate da elementi di prova che ne confermano la attendibilità». Ma anche senza tener conto di quelle parole, Busetto è stata condannata in via definitiva. E questo è un fatto - per i giudici trentini - non modificabile.
La difesa: andremo in Cassazione
«È una sentenza contraddittoria: la studieremo certamente bene, ma riteniamo ci siano ampi margini per presentare un ricorso alla Corte d Cassazione», commentano gli avvocati Doglioni e Busetto, pronti a proseguire la battaglia legale in difesa di Monica Busetto.