Un arresto e un fermo per l’attentato davanti all’ambasciata di Israele a Belgrado
BELGRADO. Tre, quattro giorni. È questa la tempistica evocata dalle autorità serbe per far luce sulle sfaccettature dell’attacco di matrice terroristica registrato sabato davanti all’ambasciata israeliana a Belgrado – con un ferito grave, un agente di guardia, e l’assalitore ucciso dallo stesso poliziotto aggredito.
Ma chi era Milos Zujovic, il responsabile dell’assalto con balestra? Il ritratto del giovane, tratteggiato a grandi linee dallo stesso presidente serbo Aleksandar Vučić, permette già di avere un’idea sul background dell’attentatore. Zujovic, 25 anni, era un serbo cresciuto in un tranquillo villaggio vicino a Mladenovac, ma residente a Novi Pazar. E si era «convertito» all’Islam, ribattezzato Salahudin, un cambiamento radicale – raro in Serbia – di cui non si conoscono ancora le ragioni. Salahudin che sarebbe stato un radicalizzato vicino al wahabismo, movimento estremista che ha avuto una relativa presa in passato soprattutto in Bosnia, ma minoritario e del tutto scollegato alle tradizioni secolari moderate dell’Islam locale. Bosnia e Kosovo, ricordiamo, rimarrebbero «a rischio» in termini di sicurezza a causa «del ritorno dei foreign fighters» locali partiti in passato per combattere in Siria e Iraq, ha ammonito l’anno scorso Europol. Ma la Serbia, finora, sembrava poco toccata da fenomeni del genere e sono stati in tanti a rimanere sconcertati dal caso dell’attacco. Rimane poi il timore che Salahudin non fosse lupo solitario. Sarebbe stato parte di un «gruppo» già attenzionato dalle autorità serbe, che ne monitoravano le attività da tempo e i cui membri erano legati «dagli stessi principi», leggi il wahabismo radicale, che guidavano l’attentatore, ha suggerito sempre Vučić. Attentatore, uno dei fatti emersi, che sarebbe stato un violento, come comprovato da un episodio registrato dai media locali nel Sangiaccato, l’anno scorso. Salahudin, barba lunga come prescrivono le regole wahabite e zuccotto nero in testa, era infatti salito su un pullman di linea con la moglie, coperta col niqab nero. E aveva obbligato con la forza un’altra passeggera, che viaggiava con il figlio malato, a lasciare loro i posti che occupavano. «Verrà il nostro tempo, quando i kafiri», gli infedeli, «scompariranno», avrebbe detto Salahudin alla donna dopo averla malmenata, minacciando poi gli altri passeggeri che avrebbe «giocato con le loro teste».
Milos-Salahudin sarebbe stato in contatto con un’altra persona arrestata sabato sera, Igor Despotovic (25 anni). Despotovic, da quanto emerso finora, era stato condannato in Serbia appena l’aprile scorso per attività di propaganda online a favore dello Stato islamico, con diversi profili da lui gestiti che inneggiavano ad Al Qaeda e Isis. Despotovic avrebbe inoltre fatto appello alla jihad e sarebbe stato in contatto quotidiano con l’attentatore di Belgrado. Un altro fermo è avvenuto a Novi Pazar, sempre nei confronti di un radicale islamico del posto. Le autorità serbe starebbero inoltre ricercando altre persone con legami con Salahudin, tra cui la moglie, che dovrebbe trovarsi in Montenegro. Di certo le indagini proseguono, con perquisizioni effettuate anche durante la notte tra sabato e domenica. E altrettanto certo è che anche in Serbia «ci sono persone che fanno parte del movimento wahabita», ha affermato ieri mattina in Tv il ministro degli Interni serbo, Ivica Dacic. Si è riusciti a ricostruire le ultime mosse di Salahudin, che prima di recarsi all’ambasciata di Israele avrebbe tentato di entrare in una sinagoga di Belgrado. Ma l’alto livello di protezione del luogo di culto da parte della polizia avrebbe impedito l’attacco. —