Vassalli: «Senza separazione delle carriere il mio Codice di procedura penale non funzionerà» - INEDITO
Quello che state per leggere è un documento inedito, storico e insieme attualissimo: Panorama.it propone ai suoi lettori la trascrizione integrale di una conversazione avvenuta il 19 febbraio 1987 e destinata – in forma più ristretta di intervista - alla pubblicazione sul Financial Times.
A fare le domande è il giornalista britannico Torquil Dick-Erikson, a rispondere è il grande giurista Giuliano Vassalli, che in quel momento è senatore del Partito socialista nonché presidente della commissione Giustizia del Senato che ha appena licenziato la legge-delega su cui si sarebbe poi basato il nuovo Codice di procedura penale. Quel Codice, di cui Vassalli è considerato il «padre» e che verrà introdotto nel nostro ordinamento alla fine del 1989, avrebbe dovuto trasformarne l’impianto da inquisitorio ad accusatorio. Appena cinque mesi dopo l’intervista, Vassalli stesso diverrà ministro della Giustizia e ricoprirà quel ruolo fino al 1991, per poi assurgere nel 1999 alla presidenza della Corte costituzionale.
Trentasette anni fa, l’intervista venne svolta in italiano da Dick-Erikson, e le nove cartelle che oggi vengono pubblicate da Panorama.it - per gentile concessione dell’autore - ne sono la fedele trascrizione. Dick-Erikson, che vive in Italia da oltre 50 anni, è un grande esperto di sistemi giudiziari e ha collaborato non soltanto con il Financial Times, ma anche con l’Independent e il Wall Street Journal, e il suo nome è considerato sinonimo di serietà e competenza, avendo pubblicato anche sulla rivista giuridica italiana La Difesa Penale. Questa sua intervista del febbraio 1987, però, è particolarmente importante in quanto contiene alcuni attualissimi pensieri di Vassalli sulla giustizia in Italia, e soprattutto sulla separazione delle carriere tra magistrati requirenti e giudicanti: proprio il tema del disegno di riforma costituzionale presentato a metà dello scorso giugno dal ministro della Giustizia Carlo Nordio.
Nell’intervista, Vassalli afferma che «il concetto del sistema accusatorio», che nel 1987 sta per essere introdotto in Italia, «è assolutamente incompatibile con molti altri principi destinati a restare in vigore nel nostro diritto, e in particolare con il nostro ordinamento giudiziario». E aggiunge che la prima e fondamentale «incompatibilità» è proprio l’assenza della separazione delle carriere. Vassalli sottolinea come non sia quasi nemmeno corretto «parlare di sistema accusatorio, laddove il pubblico ministero è un magistrato uguale al giudice (…) e continuerà a far parte della stessa carriera, degli stessi ruoli…». Vassalli conclude che «il nostro ordinamento giudiziario non cambierà, se non in minima parte».
Già 37 anni fa – quindi ben prima degli sconquassi che poi sarebbero stati prodotti da Tangentopoli nel 1992-94 - il giurista ammette, con lucido sconforto, che «non sarà possibile cambiare l’ordinamento perché quel che la magistratura ha conquistato non lo molla più, non lo abbandona più». Perché ormai «la magistratura ha un potere enorme sopra il potere legislativo» ed è anche «il più grande gruppo di pressione». Vassalli aggiunge che «in quarant’anni non c’è stata una legge in materia di giustizia che non sia stata ispirata e voluta dalla magistratura, che è sempre più diventata un corpo corporativo». E più in là conclude, testualmente e sconsolatamente, che in Italia la volontà del Parlamento «è una sovranità limitata, come quella dei Paesi dell’Est europeo: è una sovranità limitata dalla magistratura, (anche se, ndr) nelle questioni di giustizia, non in tutte le questioni».
Tra le altre negatività del sistema, già nel 1987 Vassalli critica l’immutabile tradizione dei troppi magistrati «distaccati» presso il ministero della Giustizia: «Il ministro», dice il giurista, «è circondato esclusivamente da magistrati, i quali occupano tutti i posti del ministero». E aggiunge: «Io ho sempre detto che il più grande gesto rivoluzionario (di un ministro della Giustizia, ndr) sarebbe quello di nominare capo di gabinetto un consigliere di Stato e non un magistrato». Peccato che lo stesso Vassalli, una volta divenuto ministro, non abbia dato seguito alle sue parole.
Un altro giudizio particolarmente interessante di Vassalli riguarda il Partito comunista italiano del 1987: «Il Pci è all’opposizione», dice, «ed è riuscito a legare a sé – attraverso un’opera lunga e sottile – gran parte della magistratura; è molto legato a quello che chiama il concetto della indipendenza della magistratura, nella quale indipendenza fa entrare anche la piena indipendenza del pubblico ministero, e in cui non vuole nessuna gerarchia, nessuna responsabilità».
Ma tutta l’intervista è un florilegio di spunti. Dick-Erikson e Vassalli discutono perfino del principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale, i cui rischi il giornalista britannico percepisce con grande lucidità e che il giurista italiano conferma, sostenendo che «il momento dell’esercizio penale, in molti casi, dovrebbe venire dopo una prima fase investigativa».
IL DOCUMENTO ORIGINALE
L'intervista al Sen. e Giurista Giuliano Vassalli