‘Ndrangheta a Verona: arriva la conferma della Cassazione
Punto fermo. La Corte di Cassazione ha riconosciuto la natura ’ndranghetista della cosca che nel veronese faceva (radicato) riferimento alla famiglia Giardino, confermando nella sostanza la ricostruzione prospettata sin dal primo grado dai pubblici ministeri della distrettuale antimafia di Venezia, Stefano Buccini e Lucia d’Alessandro.
Le mafie in Veneto operano e fanno affari. Sempre più autonome. È un dato.
«La sentenza della Corte d’Appello di Venezia impugnata evidenzia come tratto distintivo del processo di delocalizzazione, la forza di intimidazione e di assoggettamento del nuovo territorio attraverso la nascita di un autonomo centro di imputazione di scelte criminali», scrivono i giudici della Corte Suprema, «nuovo sodalizio che, anche se collegato alla casa madre, è risultato in grado di generare una propria forza di intimidazione e assoggettamento: per la sua organizzazione, il riparto di ruoli e la capacità programmatica, con uno stretto rimando a forme già collaudate che hanno trovato espressione nell’associazione-madre operante a Isola Capo Rizzuto».
Così si legge nella sentenza con la quale la Corte Suprema ha dichiarando in gran parte inammissibili i ricorsi - se non per due posizioni, delle quali si dirà - dei sei imputati coinvolti nell’inchiesta «Isola scaligera» che avevano scelto il rito abbreviato: imputati anche in traffico di droga con l’aggravante del 416 bis, tra i quali Ruggero Giovanni Giardino, figlio di Antonio, considerato il boss della cosca, ma ancora in appello con rito ordinario.
La Corte ha ribadito la sussistenza dell’accusa di aggravante mafiosa del 416 bis-1, ricordando che il traffico di droga «è una delle principali fonti di arricchimento del sodalizio mafioso».
Ma ha riconosciuto all’uomo il diritto ad un nuovo processo solo per il caso dell’aggressione ai titolari della sala gioco nella quale lavorava Alfredo Giardino, licenziato: le intercettazioni farebbero capire che - in questo caso - l’aggressione «intendesse far ottenere una somma di danaro a titolo di trattamento di fine rapporto».
Poi c’è il caso dell’ex presidente del Cda dell’Amia Andrea Miglioranzi: avrà diritto a un nuovo processo in Corte d’Appello.
La Cassazione non mette in dubbio che abbia ricevuto mazzette - era stato condannato a 2 anni e 8 mesi per aver accettato tangenti per concedere corsi di formazione fantasma alla scuola di Francesco Vallone - ma ha accolto il ricorso della difesa laddove non è stato dimostrato se Miglioranzi, quale presidente del cda dell’azienda pubblica di Verona, sia pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio: in quest’ultimo caso avrebbe diritto a una pena inferiore.
Ma torniamo alla ’ndrangheta. Per la Cassazione, i giudici di primo e secondo grado hanno dimostrato «gli stretti legami tra la cosca Nicosia-Arena operante in isola Capo Rizzuto) e gli imputati e - dopo aver richiamato la giurisprudenza in ordine alle cosi dette mafie “delocalizzate” - hanno passato in rassegna gli elementi da cui hanno desunto la piena ed autonoma manifestazione in territorio scaligero della capacità intimidatrice del sodalizio criminoso».
Le intercettazioni, le dichiarazioni (provate) del collaboratore di giustizia Domenico Mercurio, i servizi di osservazione della Polizia giudiziaria «giungendo ad indicare specifici fatti e circostante plasticamente rappresentativi della forza di intimidazione dell’autonoma locale di ’ndrangheta operante a Verona: estorsioni, controlli di appalti, eclatanti minacce proferite evocando il potere del sodalizio terminologia mafiosa».