Fine vita: due nuovi appelli in Friuli Venezia Giulia
TRIESTE Altre due persone malate, comunica l’associazione Luca Coscioni, chiedono di poter morire. Di poter mettere fine alle proprie sofferenze, di farlo in uno stato di diritto e alle proprie condizioni, nella loro casa, in Friuli Venezia Giulia. A differenza di quanto accaduto alla regista romana Sibilla Barbieri, malata oncologica di 58 anni costretta a recarsi in Svizzera, e a Fabio Ridolfi, 46enne di Fermigiano da anni immobilizzato a letto, che a causa dei continui ritardi del sistema sanitario ha infine scelto di andarsene con la sedazione profonda e continua.
Il caso di Martina Oppelli
E ancora a Martina Oppelli, architetta triestina di 49 anni affetta da tetraplegia e sclerosi multipla, che ha dovuto diffidare l’Asugi e presentare un ricorso d’urgenza perché le venga riconosciuto il diritto a «morire con il sorriso sul mio viso» tramite suicidio assistito.
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Il vuoto normativo
In assenza di una norma nazionale sul tema mancano infatti «procedure e tempi certi» cui le Asl devono attenersi per attivare la procedura. E capita così che proprio come Martina, Fabio e Sibilla tanti altri malati debbano attendere mesi per una risposta, costretti a lottare fino all’ultima cellula del midollo per vedersi riconosciuto un diritto di fatto già sancito dalla Corte costituzionale.
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«È un’urgenza sociale», dice Marco Cappato, tesoriere dell’associazione Coscioni, tornato a chiedere «procedure attuative a livello regionale sulle norme stabilite dalla consulta». Perché solo nelle ultime settimane, proprio mentre il Consiglio regionale affossava definitivamente la proposta di legge regionale “Liberi subito” sostenuta dalle firme di oltre ottomila cittadini, altri due malati in Friuli Venezia Giulia (rimasti anonimi per privacy) hanno fatto richiesta di accedere alla morte assistita, e per questo sono adesso seguiti dal team legale coordinato dalla segretaria Filomena Gallo.
Due nuovi casi
Il primo è il caso di una persona affetta da diverse patologie correlate alla spondite anchilosante, che quattro mesi fa ha inviato richiesta di suicidio assistito all’Azienda sanitaria. Il 27 febbraio è stata quindi visitata dalla commissione medica, che ora deve stabilire se sussistono i criteri per accedere alla procedura resa legale dalla sentenza 242 del 2019 della Consulta, la quale fissa i criteri per accedere al suicidio assistito per quei malati irreversibili, che patiscono sofferenze fisiche o psicologiche reputate intollerabili, capaci di prendere decisioni libere e consapevoli, e dipendenti da «trattamenti di sostegno vitale».
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La storia di Anna e Laura Santi
Proprio su quest’ultimo punto il Friuli Venezia Giulia aveva saputo scrivere una nuova pagina, riconoscendo quale «sostegno vitale» anche l’assistenza continua da parte di terzi, nel caso della 55enne triestina Anna di famigliari e badanti, senza la quale non sarebbe stata in grado di sopravvivere. Per lei fu però necessaria una condanna del Tribunale di Trieste contro l’Azienda sanitaria e un anno di attesa, prima che potesse diventare la terza persona in Italia a morire tramite suicidio assistito e rendersi così «finalmente libera».
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Perché mancando di procedure certe la partita è spesso lasciata al caso, con possibili esiti discriminatori tra malati costretti a subire infinite attese e sofferenze insopportabili. Come nel caso di Martina Oppelli, o della perugina Laura Santi, giornalista di 49 anni tetraplegica e completamente dipendente dalle cure del marito, da anni impegnata in una lotta sfiancate per poter essere «libera subito di scegliere».
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In attesa della Corte costituzionale
Entrambe le donne sono state ammesse in giudizio nell’ultima udienza della Corte costituzionale, per la seconda volta dopo il caso di Dj Fabo chiamata a esprimersi sul fine vita e a definire i contorni del criterio sui trattamenti di sostegno vitale. Una questione di costituzionalità, sollevata di nuovo dopo il calvario patito da Massimiliano, il 44enne toscano affetto da sclerosi multipla accompagnato in una clinica svizzera dallo stesso Marco Cappato e dalle attiviste Chiara Lalli e Felicetta Maltese.
Anche da questa sentenza dipenderà il destino di un’altra persona malata in regione, in questo secondo caso affetta da diverse patologie tra cui artrogriposi multiple congenite, che ha fatto richiesta di accedere al suicidio assistito alla propria Asl. Ma questa – rende noto l’associazione Coscioni – è tuttora in attesa proprio del parere della Consulta prima di avviare la procedura di verifica, e così dare atto a un diritto riconosciuto ma ancora troppo spesso disatteso.
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