Ospedali, quasi un’aggressione al giorno: le prime vittime sono infermieri e medici
PAVIA. Quasi un’aggressione al giorno negli ospedali pubblici della provincia nel 2023 con gli infermieri che rischiano di più, seguiti dai medici e operatori sanitari (Oss): in tutto 284 casi di violenza fisica o verbale subita nei reparti, nei pronto soccorso e negli ambulatori dell’Ats. Questa l’analisi dell’Agenzia di controllo del sistema sanitario lombardo (Acss) resa pubblica da un accesso agli atti della consigliera regionale Carmela Rozza (Partito democratico). Al solo policlinico San Matteo gli episodi registrati sono 81, come dire uno ogni quattro giorni circa: in 45 casi la vittima è un infermiere (55 per cento, più della metà) seguono i medici (24) e gli operatori socio-sanitari (12).
La metà in pronto soccorso
L’escalation di violenza riguarda anche gli ospedali privati: il contatore regionale delle aggressioni si è fermato a 11.508 nel 2022, ma i primi sei mesi del ’23 (quelli analizzati da Acss finora, tenendo conto di tutte le strutture regionali) mostrano accenni di crescita, con quasi 7mila casi (6.961) nella prima metà dell’anno passato.
Neanche gli ospedali d’eccellenza sono immuni e il San Matteo non fa eccezione: con 81 casi nel 2023, è al terzo posto per aggressioni nella classifica dei cinque Irccs pubblici di Lombardia (istituti di ricovero e cura a carattere scientifico). Davanti al policlinico di Pavia il San Gerardo di Monza (193) e il policlinico di Milano (285), mentre in fondo classifica ci sono l’Istituto nazionale tumori e il neurologico Besta, due strutture specializzate non dotate di pronto soccorso e focalizzate sulla cura di un’utenza spesso differente rispetto a quella degli altri Irccs considerati. È in pronto soccorso che, secondo quanto riferito da Regione in precedenza, si consumano il 30 per cento delle aggressioni, come dire una ogni tre. Ma con 39 casi registrati nel 2023 (su 81 totali) la percentuale sale fino al 48 per cento nel reparto d’urgenza del San Matteo – cioè quasi metà – secondo i dati Acss. Una delle micce potrebbe essere l’attesa subita i pazienti, che volte rispondono con ingiustificabili deflagrazioni di violenza: «Negli anni abbiamo sviluppato varie strategie per migliorare la comunicazione all’interno dell’ospedale e in pronto soccorso, favorendo la relazione con l’utenza» spiega Alba Muzzi, direttrice sanitaria facente funzioni del San Matteo. «Un lavoro di gruppo che stiamo portando avanti anche tramite corsi rivolti agli operatori, con la collaborazione della direzioni mediche (Dmp) e delle professioni sanitarie (Sitra). L’informazione è uno degli elementi che può interrompere l’escalation di aggressività. Un paziente informato sulle attese che sta affrontando è un alleato migliore durante il percorso di cura, che spesso prevede fasi anche complesse».
Negli ospedali pubblici di Asst – che gestisce le strutture sanitarie in provincia – si contano 184 aggressioni, di cui 64 nei pronto soccorso.
In provincia
Nel 68 per cento dei casi (quasi due su tre) la vittima è un infermiere: sono 126 quelli che, soltanto l’anno scorso, hanno segnalato violenze fisiche o verbali. I medici colpiti sono 34, mentre il resto degli episodi riguarda gli Oss e, i tecnici ospedalieri, il personale ostetrico o gli assistenti sociali. «Le aggressioni negli ospedali non sono soltanto un argomento legato alla sicurezza, ma riflettono lo stato attuale della sanità lombarda» afferma Carmela Rozza (Pd) consigliera regionale che ha richiesto i dati tramite accesso agli atti. «C’è un’oggettiva difficoltà degli operatori e dei pazienti, perché il personale è poco e, senza uno sviluppo della medicina territoriale che nei fatti manca, le persone non sanno a chi rivolgersi, e ciò può alimentare i casi di escandescenze. Regione non ha fatto abbastanza per disinnescare il fenomeno. Casi di aggressione anche nelle strutture dell’Ats provinciale (19) ai danni, in particolare, di medici e veterinari.
L’ordine degli infermieri: «Manca personale, crescono attese e l’insoddisfazione dei pazienti»
«Le violenze non avvengono perché il paziente riceve una diagnosi infausta, più spesso accadono per via di una macchina organizzativa poco fluida, che si inceppa anche causa della mancanza di personale generando attese e insoddisfazione. Un meccanismo che non dipende dagli operatori sanitari, che anzi sono sulla stessa barca dei pazienti». Così Matteo Cosi, presidente provinciale dell’ordine degli infermieri (Opi) categoria colpita più di altre delle aggressioni fisiche e verbali, nella maggior parte dei casi attuate dai pazienti Acss. «Gli ospedali devono lavorare per dare una risposta più fluida ai bisogni dei pazienti e per questo vanno coinvolte le direzioni sanitarie, ma non solo: bisogna formare il personale per riconoscere e gestire il pericolo potenziale, dando gli strumenti giusti per comunicare in modo corretto con l’utenza. È importante soprattutto adesso, visto che con le case di comunità la sanità si sta aprendo al territorio. Abbiamo anche posto il problema in prefettura, ci ha incontrato con grande disponibilità».