Tentato omicidio a Opicina, la donna tace davanti al giudice
TRIESTE Ha scelto il silenzio, avvalendosi della facoltà di non rispondere. Non ha parlato, dunque, se non per pronunciare le proprie generalità davanti al giudice, come da prassi. Resta in carcere la trentottenne di Opicina, origini slovene (è di Šempeter pri Gorici) ma da anni a Trieste e dipendente di una casa di riposo dell’altipiano, che domenica pomeriggio aveva tentato di uccidere il marito (non compagno, quindi, come si riteneva finora: i due sono sposati) buttandolo dal balcone dopo un violento litigio. La donna è ora indagata per tentato omicidio.
L’episodio si era verificato nell’abitazione di Opicina in cui vive la coppia: al primo piano di via dei Papaveri 20. L’uomo aveva fatto un volo di 5 metri, finendo di schiena sull’erba dell’aiuola sottostante, come emerge dai rilievi dei Carabinieri intervenuti sul posto e che avevano lavorato l’intera nottata per raccogliere le misurazioni e sentire i testimoni.
Dopo l’interrogatorio al carcere del Coroneo alla presenza del legale che difende la trentottenne, l’avvocato Massimiliano Speranza, ieri il gip Massimo Tomassini ha deciso di non convalidare il fermo della donna: il giudice non ha ravvisato infatti il pericolo di fuga. Non cambia però nulla nella sostanza, perché nel contempo il giudice ha accolto la richiesta avanzata dal pm titolare del fascicolo, Maddalena Chergia: cioè la misura cautelare della detenzione in carcere.
La donna rimane in cella, insomma. Chi l’ha vista in questi giorni riferisce di una persona scossa per l’accaduto e di ciò di cui è accusata: l’intenzione di ammazzare il marito.
L’uomo, 45 anni, è ancora ricoverato nel reparto di Terapia intensiva dell’ospedale di Cattinara. Le sue condizioni stanno migliorando: l’altro ieri è stato estubato e ha ripreso conoscenza. La lesione causata dall’impatto con il terreno gli ha causato una lesione all’arteria del bacino con una pericolosa emorragia interna.
E ora, mano a mano che trascorrono i giorni, il quadro indiziario si delinea con sempre maggiore chiarezza. Tanto che gli inquirenti non hanno alcun dubbio sull’ipotesi accusatoria: la trentacinquenne voleva proprio uccidere il marito.
Ci sono testimonianze a riguardo: un residente della zona ha assistito alla scena e – stando a quanto si apprende – ha visto l’uomo cadere di schiena dopo l’alterco con la moglie, di cui si erano accorti anche altri vicini, in un crescendo di grida e minacce. Una dinamica del genere – cadere di schiena – peraltro appare effettivamente incompatibile con un incidente e ancora meno con un tentativo di suicidio da parte del quarantacinquenne.
A conferma del quadro accusatorio c’è anche quanto ha riferito una vicina, che sostiene di aver sentito personalmente le minacce della trentottenne – minacce di morte – accompagnate, subito dopo da un «noooo»: la voce dell’uomo mentre precipitava sotto.
Sembra la scena di un thriller, ma è tragica realtà. Come peraltro lo è ciò che è accaduto negli istanti successivi alla caduta: la donna, dopo aver lanciato uno stendibiancheria addosso ai vicini accorsi per aiutare il quarantacinquenne, è scesa in giardino continuando a inveire contro il coniuge dicendogli, in modo irridente, che la sua era «una messa in scena».
C’è dell’altro, a riprova della sudditanza psicologica in cui viveva l’uomo nel rapporto di coppia: dopo essere precipitato e prima che le sue condizioni peggiorassero in ambulanza, aveva chiesto ai presenti «che la cosa si chiudesse lì». Insomma, senza l’intervento del 118 e dei Carabinieri.