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Июль
2024

Congelare la maternità

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Dopo gli Stati Uniti, si afferma anche in Italia il «social freezing», ovvero la crioconservazione degli ovuli da parte di giovani donne. Che poi li useranno in futuro per concepire un figlio. È una pratica diffusa tra le vip (e propagandata), ma che ha tanti lati oscuri.

Se da un lato l’Italia è a «natalità sottozero», dall’altro si afferma la moda del social freezing, cioè del congelamento degli ovociti a scopo non sanitario ma «sociale»: si prelevano gli ovuli quando la donna è in età fertile - meglio tra i 20 e i 36 anni - e si sottopongono a vetrificazione (un tipo di congelamento immediato che evita la formazione di cristalli di ghiaccio) in modo da poterli utilizzare in futuro, quando si avrà un lavoro stabile e si sarà pronte per una gravidanza. La tecnica non è nuova, ma se prima la crioconservazione era solo sanitaria, cioè veniva utilizzata unicamente da chi rischiava di perdere la funzionalità ovarica a causa di chemioterapia, radioterapia e interventi demolitivi, adesso la tentazione di «mettere in cassaforte» gli ovuli quando sono giovani e di qualità è molto più sentita: si calcola, infatti, che dal 2021 il numero di donne che richiede la crioconservazione aumenti di circa il 20 per cento l’anno. Il magico mondo dei vip, come sempre, fa tendenza: la top model lodigiana Bianca Balti ha annunciato che regalerà alla figlia Matilde il social freezing, nel giorno del suo ventunesimo compleanno, considerandola una scelta di libertà che consente alle donne di svincolare il desiderio di maternità dall’avere un partner e una relazione stabile. Cosi come l’attrice newyorkese Sienna Miller, che ha spiegato di aver congelato i suoi ovociti perché «la biologia è crudele». Nel suo piccolo, anche l’attrice della serie televisiva Mare fuori Ludovica Coscione ha fatto sapere di stare valutando il social freezing, in quanto importante gesto femminista.

Ma, dichiarazioni ardite a parte, è davvero tutto oro quel che luccica? No, ovviamente: «Innanzitutto, occorre dire chiaramente alle donne» spiega il ginecologo Adolfo Allegra, presidente dell’Associazione nazionale Cecos Italia (Centri conservazione ovociti e spermatozoi) «che l’età ideale per congelare i propri ovociti è tra 25 e 36 anni. Questo perché più si è giovani, più gli ovociti sono di qualità e più chances si hanno di concludere con successo la gravidanza anche quando si sarà avanti con gli anni: l’ovocita, infatti, mantiene l’età che ha alla data del prelievo. Se si sono congelate a 28 anni, a 40 (quando eventualmente si deciderà di utilizzarle) le uova avranno comunque un’età biologica di 28. Però è bene chiarire che congelare i propri ovociti non garantisce il “bimbo in braccio”: non sempre si riesce a ottenere una gravidanza, perché il successo non dipende soltanto dalla qualità degli ovuli». La medicina non è matematica, e quasi infinite sono le variabili che possono intervenire in un processo lungo, complicato e costoso: prima di procedere al prelievo degli ovociti occorre sottoporsi a un ciclo di stimolazione ovarica (procedura che comunque comporta alcuni rischi) e poi a un piccolo intervento in anestesia per prelevare le uova.

In Italia, il Servizio sanitario nazionale rimborsa la crioconservazione a chi deve ricorrere a questa tecnica per motivi sanitari, e non a chi intende invece solo fare social freezing per posticipare una gravidanza che non vuole portare avanti nell’immediato. In questo caso occorre rivolgersi a centri privati: «I costi, per un ciclo di crioconservazione, variano da 3.000 a 3.500 euro» continua Allegra. «Se si decide di sottoporsi a questa tecnica da giovani può bastare una sola stimolazione, perché spesso con un unico prelievo si ottengono 10-12 uova. Se, invece, ci si sottopone alla tecnica quando si sono superati i 36 anni la possibilità di dover fare due o tre stimolazioni con ripetuti prelievi ovocitari aumenta. Oltre al costo del trattamento bisogna aggiungere, nel nostro Paese, quello dei farmaci per la stimolazione ovarica, quindi altri 1.500 euro circa. Inoltre, alcuni centri chiedono anche un compenso per ogni anno di crioconservazione degli ovociti».

Un investimento economico importante, quindi. Ma ne vale la pena? E siamo sicuri che, dopo tanti anni dal prelievo, l’ovocita non risulti danneggiato e dunque inutilizzabile? La certezza, ovviamente, non esiste ma le percentuali sono incoraggianti: «A prescindere dall’età della donna al momento del prelievo» dichiara Renato Seracchioli, ordinario di Ginecologia e Ostetricia presso l’Università degli Studi di Bologna e direttore dell’Unità Operativa di Ginecologia e Fisiopatologia della Riproduzione umana dell’Ospedale Sant’Orsola, «circa l’80 per cento degli ovociti non si deteriora e sopravvive, mentre gli altri sono inutilizzabili. Al Sant’Orsola, dove effettuiamo solo crioconservazioni per motivi sanitari perché siamo un ospedale pubblico e il Servizio sanitario nazionale non rimborsa gli interventi per motivi sociali, abbiamo avuto una gravidanza andata a buon fine a 14 anni dal prelievo ovocitario».

Riguardo al social freezing, c’è anche da dire che quella che a 30 anni può sembrare un’assicurazione sulla futura gravidanza, dunque una buona idea, dopo un po’ di tempo può non rivelarsi tale. E questo è il motivo per cui solo una percentuale molto bassa delle donne che vi ricorrono tornano nei centri per l’intervento di reimpianto: «In media, su 100 donne che congelano gli ovociti solo otto o nove tornano per farseli impiantare» conclude Allegra. «Questo perché, se sono molto giovani restano incinte spontaneamente, mentre se sono più anziane magari non trovano il partner e arrivate a 41-42 anni decidono di non voler portare avanti una gravidanza. Chiariamo il fatto che stiamo parlando di ovociti, non fecondati: non sono embrioni e quindi possono essere distrutti o donati per la ricerca».

Intanto il fenomeno cresce a tal punto che negli Stati Uniti già il 20 per cento delle grandi aziende offre copertura sanitaria alle dipendenti che intendono intraprendere questa strada. «Spesso le donne che ricorrono al social freezing sono reduci da delusioni sentimentali» commenta il ginecologo Fabrizio Cerusico, responsabile clinico del centro Raprui di Roma e docente Università Unicamillus. «Oppure scoprono, magari dopo tanti anni di convivenza, quando l’orologio biologico comincia a farsi sentire, che i compagni non vogliono figli: è la molla che fa scattare in loro il desiderio e l’esigenza di assicurarsi una riserva di ovociti». Purtroppo, senza troppe garanzie: non c’è un bambino nel congelatore, ma solo la speranza di poterlo avere.




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