Il declino di Kyle Edmund, da erede di Murray a numero 479
Traduzione dell’articolo apparso sul quotidiano The Times il 5 luglio 2024. Qui la versione originale.
Mentre la folla di Wimbledon si emozionava per il lungo addio di Andy Murray, l’uomo che un tempo avrebbe dovuto sostituirlo stava ancora lottando disperatamente contro gli infortuni.
Kyle Edmund ha faticato per anni nell’ombra del suo idolo prima della sua brillante svolta nel 2018 – anno in cui Murray si è sottoposto all’ intervento chirurgico all’anca – quando ha raggiunto le semifinali dell’Australian Open. Per la prima volta in più di un decennio il tennis britannico ha avuto un nuovo numero 1 a ridosso della top ten mondiale, con il talento e la grinta necessari per diventare uno dei protagonisti dell’estate, ma lo sport può spesso essere straordinariamente crudele.
Prima che Murray decidesse di ritirarsi dal singolare lunedì, si è allenato con Edmund e conduceva per un set e un break prima di porre bruscamente fine al loro incontro. Poco dopo lo scozzese avrebbe ammesso di non ritenere la sua forma fisica al livello necessario per competere. Non c’era alcuna malizia, ma è servito a ricordare quanto sia stato netto il declino di Edmund.
Attualmente classificato al n. 479 dopo una litania di infortuni, tra cui tre operazioni al ginocchio sinistro prima che un problema al polso destro facesse ritardare il suo ritorno in campo la scorsa estate, il 29enne non gioca nel tabellone di singolare a Wimbledon dal 2019 e ha fatto affidamento su una wild card per entrare nel doppio insieme al poco apprezzato connazionale Oliver Crawford.
“È stata dura, non c’è dubbio. All’inizio la motivazione era alta, facevo tutta la riabilitazione, ma più andava avanti e più era difficile“, ha detto Edmund dopo la sconfitta per 7-5, 7-6 (7-3) contro Sadio Doumbia e Fabien Reboul, sedicesime testa di serie. “Ci sono stati dei piccoli momenti in cui mi sono detto: ‘Che senso ha? Non sto andando da nessuna parte’. Non è tanto per gli interventi chirurgici veri e propri, ma quando torni a giocare e non raggiungi il livello desiderato, e non per mancanza di impegno”.
Mentre Cameron Norrie e Jack Draper si contendevano il suo vecchio status, Edmund ha attraversato l’impianto fino al campo numero 11, dove ci sono solo una manciata di posti a sedere e il pubblico passeggia lungo gli spalti per tutti i punti. A poca distanza, ma ben lontana dal match entusiasmante contro Novak Djokovic sul Centrale nel 2018, la gente si è fermata brevemente per ammirare il potente dritto che un tempo era sulla bocca di tutti negli spogliatoi, ma la ruggine nel gioco e nei movimenti di Edmund era evidente e lui si è stretto la racchetta al viso in preda alla disperazione dopo un errore banale verso la fine del primo set.
Mai specialista del doppio, questo è stato il suo primo incontro con Crawford, 25 anni, nato nella Carolina del Sud ma che quest’anno ha iniziato a rappresentare la Gran Bretagna, e la mancanza di familiarità si è subito notata. Edmund tornerà ora ai Challenger dove quest’anno ha ottenuto limitato successo, vincendo 19 dei 31 incontri disputati contro avversari molto al di sotto del suo vecchio livello, ma la sua perseveranza in eventi minori con montepremi più piccoli è testimonianza della sua forza di volontà dopo che gli è stata strappata una vetta per cui ha combattuto duramente.
La sfortuna ha voluto che il dolore cronico al ginocchio di Edmund coincidesse con la sua svolta e lo ostacolasse costantemente quando decise di sottoporsi all’intervento chirurgico nel 2020. Non avrebbe mai immaginato che sarebbero passati quasi due anni prima di poter tornare in campo, ma una serie di specialisti non è riuscita a risolvere il problema. “C’è tanta speranza e poi tanta frustrazione quando le cose non funzionano”, dice.
Edmund ha trascorso un periodo di riabilitazione al fianco di Murray al National Tennis Centre e ha potuto trarre ispirazione dall’incredibile determinazione dello scozzese, ma la realtà di un infortunio a tempo indeterminato è stata solitaria e desolante. “Molti giocatori hanno i loro momenti difficili, i loro demoni e tutto il resto, ma ho imparato che deve venire tutto da te, perché nessuno perde il sonno se perdi partite o ti ritiri”, dice. “A nessuno importa davvero. Alla tua famiglia sì, e la gente si dispiace per te, ma la vita va avanti. Devi avere delle conversazioni davvero oneste con te stesso“.
Sembra scoraggiante, ma la dura verità dello sport d’élite spesso lo è. Forse è l’uomo dimenticato del tennis britannico, ma il fatto che Edmund stia ancora lottando per ottenere l’addio che merita gli fa onore. “Non servirà a nulla commiserarmi”, dice. “Ho 29 anni, c’è ancora tempo, ma sono molto consapevole e razionale del fatto che nulla ti viene regalato. Devi guadagnartelo”.
Traduzione a cura di Bianca Mundo