Basket, il guerriero Massimo Rezzano: «A 42 anni dico stop»
TRIESTE Dal canestro realizzato in Coppa Korac con la maglia della Telit Trieste nella stagione 2000-01 a quello che rimarrà l'ultimo, segnato lo scorso 21 aprile sul parquet di Cremona con i colori della Pontoni Falconstar.
Dopo 23 stagioni da professionista, innumerevoli maglie vestite e tante soddisfazioni si è chiusa la carriera di Massimo Rezzano, uno dei più longevi giocatori che il basket triestino abbia prodotto nelle ultime due decadi, capace di giocare ad alti livelli tra serie A e serie B fino all'età di 42 anni, e lasciando un’impronta a Gorizia e a Monfalcone, l’ultima tappa.
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«Sono stato fortunato ad arrivare a una certa età, intesa in senso agonistico, in condizioni accettabili, e nonostante il ginocchio scricchiolante forse avrei potuto proseguire – racconta Rezzano – ma dal punto di vista mentale ho raggiunto la saturazione. Di queste 23 stagioni ne ho passate 18 fuori regione, è giunto il momento di dedicare il mio tempo alla famiglia. I figli (Ethan ed Elisa, ndr) stanno diventando grandi, e assieme a mia moglie Ezanay, la prima persona che devo ringraziare, si sono sempre spostati con me in tutte le tappe del mio percorso. Mai un weekend libero, il calendario della vita è sempre stato condizionato dalla pallacanestro. Era giusto staccare la spina».
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STEFANEL
Un anno nel nuoto, da piccolissimo per iniziare a fare sport spinto dai genitori, e poi solo basket, partendo da Muggia, la città natale («anche se in verità sono nato al Burlo Garofolo»), per entrare subito nella galassia Stefanel a Trieste, portatovi da Franco Cumbat già dal minibasket. «L'epopea Stefanel era agli sgoccioli, quando finì diventammo Poggi Basket e poi feci un anno al Don Bosco con Mario Steffè, un'altra persona cui, come a Franco, devo molto – ricorda il muggesano classe 1982 – tornai però da juniores nella Pallacanestro Trieste, in prima squadra c'erano Cesare Pancotto allenatore e Nello Laezza capitano. Nello è un mito, è stato uno dei primi a chiamarmi quando ha saputo della mia intenzione di ritirarmi, mi ha proposto di continuare a giocare nel Venezia Giulia (Laezza è coach della squadra che milita attualmente in Divisione Regionale 1, ndr), ma come ho detto non ho intenzione di proseguire l'attività, nemmeno nelle minors».
BANCHI E BERETTA
Quello di Pancotto è solo uno dei grandi nomi della panchina che Rezzano ha avuto come coach, e a molti di essi è rimasto legato. Uno di questi è Luca Banchi, che esordì su una panchina della massima serie proprio a Trieste nel 1999. «Mi ha indirizzato la carriera, fu lui a trasformarmi da centro, ciò che adesso chiamiamo numero 5, a lungo tiratore – ricorda – mi spostò fronte a canestro con l'idea di utilizzarmi anche da ala piccola, anche se per questo non ne ebbe il tempo. E poi devo molto ad Andrea Beretta, che da giovane under mi volle a Gorizia in B d'eccellenza. Mi buttò subito nella mischia dandomi fiducia, e alla fine della stagione 2001/2002 risultai il giocatore con il minutaggio più alto di tutto il campionato».
GLOBETROTTER
In una carriera che lo ha visto girare in lungo e in largo l'Italia e conquistare un paio di Coppe Italia di A2 e tre promozioni dalla serie B alla A2, Rezzano fissa tra le altre un paio di città che gli sono rimaste particolarmente nel cuore. «Una è Veroli, dove vincemmo la Coppa Italia nel 2009 -continua – avevamo un allenatore esordiente, Andrea Trinchieri, che un giorno andò negli Usa e tornò con un pivot di 190 centimetri, un certo Kyle Hines. Tutti restarono sbigottiti e fu inizialmente criticato, poi sappiamo come è andata a finire. Trinchieri ora è un top coach e Hines diventò Hines. In quella squadra c'era anche Michele Mian: ho imparato più cose da lui in un anno, condividendo i momenti dentro e fuori dal campo, che in 10 altre stagioni».
E poi Brescia. «Diventai il capitano e nel 2011 riportammo la squadra in serie A dove mancava da 18 campionati, ma soprattutto è stato a Brescia che ho conosciuto mia moglie, ciò che davvero mi ha cambiato la vita».
Dopo Brescia arrivarono le tappe di Matera, dove sono nati i figli, Reggio Calabria, Scafati con la seconda Coppa Italia, e poi Piacenza, San Severo, Salerno e Chieti. «A San Severo mi tolsi la soddisfazione di vincere il titolo di mvp del campionato di serie B nel 2018 a 36 anni. Segnavo 17,5 punti di media e arrivammo primi in regular season con 12 punti di vantaggio sulla seconda, prima di dover fare i conti con il regolamento che in sostanza ci impedì di conquistare la promozione. Se ripenso a tutte le stagioni, posso dire di essere stato fortunato perché non ho mai vissuto un anno anonimo».
AL PALAPALIAGA
Neppure sul rettilineo d'arrivo, a Monfalcone con la Falconstar. «Una tappa importante e un bel finale perché ho avuto la possibilità di chiudere a un livello alto tornando vicino a casa. Devo ringraziare i dirigenti Cerigioni e Visciano, il presidente Palermo, e coach Matteo Praticò che mi ha voluto nel gruppo».
L'eredità nella pallacanestro passa ora di mano in famiglia. «Questo testimone lo lascio volentieri a mia figlia Elisa – conclude – che gioca con le Tigrotte Trieste e che sta per iniziare la stagione nella Under 13. Ethan invece ha scelto il nuoto».