Cinema, così il regista Tornatore si racconta a Gorizia
GORIZIA Il Premio Amidei numero 43 celebra e onora Giuseppe Tornatore con il riconoscimento “Opera d’autore” riservata ai maestri della settima arte.
Domenica, in mattinata, il regista di Bagheria (Baaria nel dialetto locale) si è offerto alla platea sold out del goriziano Kinemax (affiancato dal professor Roy Menarini e dal critico Paolo Mereghetti) quartier generale del festival riservato alla sceneggiatura e al buon cinematografo, categorie alle quali il cineasta siciliano appartiene a gran diritto e non soltanto per l’Oscar consegnato dall’Academy a “Nuovo Cinema Paradiso” nel 1988.
Al proposito Tornatore ricorda: «L’idea di questa storia è sempre stata prigioniera nei miei pensieri, però m’imposi che mai l’avrei trasformata in un film al mio debutto sul grande schermo. Una vicenda troppo personale che avrebbe dovuto aspettare tempi più maturi per essere raccontata. E così avvenne».
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Trieste e il Friuli hanno scenograficamente accompagnato due sue pellicole: “La sconosciuta” nel 2006, interamente girata nel capoluogo giuliano, e “La migliore offerta” nel 2013, divisa fra la mitteleuropea città di Svevo e di Saba e la campagna friulana.
«Per la “Sconosciuta” — spiega Tornatore — cercavo un luogo che non sembrasse italiano e individuammo questa magnifica località sul mare e mi trovai benissimo con lo staff dei ragazzi della Film Commission Fvg e, soprattutto, con la gente. Con piacere scoprii che quando una decisone è presa per i triestini è quella definitiva. Il set originario de “La migliore offerta”, invece, era Vienna. I rapporti difficili con la produzione ci obbligarono a cambiare aria in fretta e decidemmo senza esitazioni di scendere a Trieste, appunto, consapevoli che avremmo trovato ciò che ci serviva, spingendoci anche nell’entroterra friulano scoprendo villa Colloredo a Gorizzo poi “trasferita” nel centro triestino con la magia del “blu screen”».
Rimanendo nel Nord Est non è un segreto che Tornatore farà parte della giuria della ottantunesima Mostra del cinema presieduta da Isabelle Huppert.
«Non ho un particolare rapporto coi festival — racconta — ma è divertente viverli. Come giurato so che vedrò due/tre film al giorno e ciò mi riporta alla gioventù quando mi accadeva proprio questo. Barbera mi ha inseguito per anni e stavolta ho accettato per puro piacere. In altre occasioni del passato gli impegni si sovrapponevano alle giornate del Lido e mi toccava con dispiacere rinunciare».
Pur conoscendo la risposta alla domanda su “che cosa uscirà di suo prossimamente sul grande schermo (o sul piccolo, perché no?)” abbiamo lo stesso lanciato l’amo. «A breve comparirà un documentario — svela — mentre il prossimo anno sarà il momento del nuovo lungometraggio». Zero rivelazioni sui titoli, ovvio.
«Molti registi entrano in un loop ansiogeno se mancano da qualche tempo dalle sale e si affidano ai docufilm per colmare i vuoti. Io adoro i documentari per la libertà di girare che sprigionano e non temo di essere dimenticato se non propongo un titolo ogni dodici mesi».
Scopriamo che Giuseppe Tornatore, a proposito di serie tv che oggi come oggi rappresentano un forte presente, ne girò una in tempi assolutamente non sospetti. «Stavo sul set de “Il Camorrista” nel 1985 , il mio primo atto in questo mondo, e il produttore mi chiese se avessi potuto allungare la storia come fosse a puntate. Lui contava e sperava che lo sceneggiato appena morto potesse un giorno risorgere. Il progetto restò una pellicola mai proiettata. Una proposta, però, mi arrivò: quella di un “Gattopardo” a puntate. Pensai a Visconti e mai avrei potuto sfidare un capolavoro simile e mi ritirai in buon ordine, ringraziando. Il progetto sui “Beati Paoli”, invece, sarebbe stato apprezzato, ma l’eccessivo costo lo fece naufragare», confessa Tornatore.
Una chiacchierata colta e divertente la sua, con mille aneddoti sui maestri chiave della sua vita artistica quali Visconti, Fellini, Dreyer, Bergman. «Ebbi un cortocircuito vedendo “Salvatore Giuliano”, l’opera di Francesco Rosi del 1962. Si dice che il cinema di un autore si formi dal suo passato di spettatore. E dico che il mio rigore è viscontiano e la mia passione di trasfigurare i luoghi è propria di Rosi. Ma il cinema è di Tornatore».