I democratici Usa nel caos tentano di salvare il salvabile (cioè la maggioranza alla Camera)
Mancano 106 giorni alle elezioni presidenziali Usa ma c’è una data al momento ancora più centrale nella campagna elettorale, il 19 agosto. È il giorno in cui a Chicago si apriranno i lavori della convention del Partito repubblicano. Un appuntamento solitamente di tiro in cui i delegati confermano le indicazioni del partito e danno il loro festante sostegno a questo o quel candidato. Ma oggi nessuno sa chi sarà il nome indicato a sfidare Donald Trump. Nelle convulse ore successive all’endorsement di Joe Biden per la sua vice, Kamala Harris, i sostegni incondizionati dei grandi nomi del partito sono stati rari e tiepidi. Al momento gli unici big schieratisi apertamente con l’attuale vicepresidente sono stati Hillary e Bill Clinton. Per alcune ore si era sparsa la voce del sostegno anche della coppia Michelle e Barack Obama che però hanno smentito tutto dichiarandosi fiduciosi in quella che sarà la scelta della convention. Un atteggiamento simile a quello di diversi governatori, che hanno preso tempo: «deciderà la convention…». Va poi ricordato che Biden venne indicato mesi fa come candidato grazie alle primarie in cui la Harris venne pesantemente bastonata dal suo stesso partito.
La sensazione è di un partito in difficoltà, non perché sorpreso dal passo indietro dell’attuale inquilino della Casa Bianca, di fatto tradito proprio dai suoi compagni democratici, ma perché ora emergeranno divisioni e lotte interne. Lo dimostra la ritrosia di diversi governatori dem a scendere in campo come candidati o come vice per la paura di bruciarsi in una partita persa nel 2024 e rinviando il tutto al 2028.
All’interno dell’asinello (animale simbolo dei democratici) esistono infatti due grosse anime: quella più moderata e quella a forte trazione di sinistra (e, ad esempio, filo palestinese...). Fanno parte di quest’ultima ad esempio Bernie Sanders e soprattutto Alexandria Ocasio-Cortez, la giovane proveniente dal Bronx che nell’immaginario di molti doveva essere il simbolo della rinascita giovanile e più a sinistra, del partito, amatissima anche dai giovani del Pd nostrano. Purtroppo però per i due i tempi sono duri. L’ala moderata, più centrista, ha il netto sopravvento, anche per questioni di sostegno economico all’eventuale candidato e così la Ocasio-Cortez è stata una delle prime (e delle poche) a schierarsi per Kamala Harris.
SI parla tanto poi in queste ore della governatrice del Michigan, Gretchen Whitmer, come possibile candidata alla vicepresidenza con la Harris. Moderata, stimatissima nei salotti buoni, fortemente impegnata a favore dell’aborto e contro ogni tipo di restrizione, la Whitmer ha scarsa, anzi, scarsissima popolarità al di fuori del suo stato e del mondo politico. Si tratterebbe di una scelta anche geografica, dato che il Michigan da sempre è uno degli Stati chiave che alla fine decidono le sorti delle elezioni presidenziali ma il fatto che la stessa, nel suo comunicato social di ieri si sia limitata a ringraziare Biden per la sua scelta ed il suo operato senza mai nominare la Harris fa capire che la strada è lunga, molto lunga.
Anzi, la convinzione di molti esperti di politica Usa, soprattutto del partito dell’asinello, è che si cerchi più che di vincere le elezioni, di salvare il salvabile. Cioè di evitare che i repubblicani possano controllare dopo le elezioni sia il Senato (dato ormai per perso) che la Camera. E questo sarebbe un vero e proprio disastro, molto più della già dolorosa sconfitta contro Donald Trump.