Per Boraso tangenti con l’Iva: la lista completa dei pagamenti
Galeotta fu la “consulenza” per palazzo Papadopoli, la prima su cui le Fiamme gialle hanno posto gli occhi, prima di affiancarle un lungo elenco di attività per cui la Stella Consulting Srl di Renato Boraso ha emesso documento fiscale.
Le virgolette sono d’obbligo perché, come ha ripetuto in diversi interrogatori l’accusatore Claudio Vanin, quell’analisi non era necessaria e, in effetti, non c’è «la relazione, non c’è neppure memoria che sia mai arrivata», piuttosto serviva a «ottenere un importante sconto sull’immobile», scrivono gli inquirenti.
Però ha originato due fatture, ciascuna da 30 mila euro più 6.600 euro di Iva; e l’imposta è importante perché, come si legge a più riprese nelle carte dell’inchiesta, l’assessore insiste nel «fare tutto in trasparenza», «onestamente», non sia mai che arrivi «un controllo della Guardia di finanza».
In verità lo schema adottato per coprire le tangenti - sempre stando ai primi risultati delle indagini – offriva almeno un paio di varianti, tanto che su certe operazioni gli accertamenti sono ancora in corso.
Nel 2013, ad esempio, Nievo Benetazzo aveva concordato con lui un sistema peculiare per coprire 100 mila euro di pagamento a ricompensa dell’aver favorito l’approvazione di una variante del piano regolatore comunale per la realizzazione del Park 4.0 a Tessera: con un’operazione immobiliare definita «singolare» dai pm Roberto Terzo e Federica Baccaglini, Boraso aveva firmato un contratto di vendita per un modesto appartamento nel Bellunese; 140 mila euro, peccato che l’immobile fosse stimato in circa 40 mila euro di valore e che, fatalità, la caparra stabilita con Benetazzo fosse proprio di 100 mila euro.
La vendita non si è mai concretizzata, il passaggio di mano dell’anticipo invece sì.
Ci sono fatture che sono state emesse proprio in contemporanea con importanti sedute del consiglio comunale, altre che sono rimaste insolute e che, pur presentando nelle causali la «sostituzione di piante morte», non hanno mai visto Boraso recriminare a proposito di quanto avrebbe messo a dimora.
E poi c’è la formula del «contrattino», come quello fatto firmare alla Tecnofon di Daniele Brichese: «10 mila euro di forfettario annui in due tranche da cinquemila più un 4% per ogni contratto portato a casa», nelle indicazioni che l’assessore forniva alla sua segretaria. «Io lavoro sempre in trasparenza», insisteva Boraso con Brichese, «perché qua è diventato un delirio»; e l’imprenditore concordava: «Tu perdi tempo, parli con le persone, mi porti lavoro, è una roba che va comunque pagata, non facciamo cose strane».
Con Matteo Volpato si intuisce ci fosse lo stesso tipo di accordo, ma da 20 mila annui, anche questo con la «success fee, che è la percentuale» e che Boraso ricorda bene quando non gli viene pagata. D’altronde proprio il titolare della San Gabriele nel 2023 aveva chiesto all’assessore «tutta la documentazione», sentendosi rispondere che ce n’era «a quintali, tutta divisa per anno di competenze».
Volpato si era fatto scrupoloso l’anno scorso, tanto da ricordare all’assessore come invece nel 2022 con una tangente da 30 mila euro fosse stato fatto «un “petton”, che dal punto di vista fiscale spero solo che passa il tempo».
I rapporti con l’imprenditore di via Ca’ Solaro comunque erano tanto vari da permettere anche altre forme di mascheramento, come la sovrafatturazione per le forniture di cereali.
«Trovo delle soluzioni tecniche», assicurava Boraso al socio di Volpato, Filippo Salis, «Invece che vendere mille quintali di mais gliene vendo 1200, però tutto non può farsi là». Ed ecco anche la terza opzione ricostruita dai finanzieri, scalare i pagamenti dai debiti, visto che le società di Boraso e quelle di Volpato avevano affari in sospeso.
Con la Ma.Fra. Srl di Francesco e Carlotta Gislon - che pure tra il 2019 e l 2023 hanno ricevuto da Stella un elenco di fatture più Iva che toccano i 206 mila euro totali - si era arrivati anche all’esecuzione di lavori in casa, non scontati ma scontatissimi: 100 mila euro di intervento, poi diventati appena 20 mila.
Proprio i Gislon avevano imposto però a Boraso di trovare un altro nome, qualcuno attraverso cui far passare le fatture perché l’assessore era, per l’appunto, esponente della pubblica amministrazione: «Dobbiamo assolutamente fermarci, dal prossimo anno bisogna che cambiamo soggetto», diceva l’imprenditrice, che ha rifiutato anche di passare per il fratello di lui, «Sempre lo stesso cognome, ha».
I Barzazi, di fronte allo stesso problema di “tracciabilità” hanno risolto diversamente: hanno bonificato a Fabrizio Ormenese che poi avrebbe saldato. D’altronde l’imprenditore di Dolo si faceva pochi problemi a promettere «bonus da 200 mila euro» o «un attico».
Boraso non era preciso, ma era consapevole dell’importanza di dichiarare il più possibile: «Fammi uno schemino di tutte le fatture di Stella», chiedeva alla segretaria nel 2022, prevedendo «tasse spaventose perché non abbiamo fatto le fatture giuste di scarico».
Tutti gli indagati
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