San Silvio decollato
I luoghi pubblici hanno un’importanza collettiva a cui dedicare nomi condivisi da tutti... Ma le polemiche sull’intitolazione dello scalo di Malpensa a Berlusconi ci ricordano che nel Paese la toponomastica ha un senso sbiadito. Come la nostra identità.
La guerra sull’intitolazione dell’aeroporto di Malpensa a Silvio Berlusconi ha riproposto due o tre questioni ricorrenti nella vita e nella storia del nostro Paese. Non s’intitola un luogo pubblico a personaggi divisivi, dicono gli antiberlusconiani; la stessa motivazione rese improponibile la candidatura di Berlusconi al Quirinale. Tesi discutibile ma rispettabile, se non fosse per i precedenti che la smentiscono: l’Italia è piena di viali e vie dedicate a Palmiro Togliatti che fu leader comunista d’opposizione, personaggio altamente controverso e divisivo. Lo stesso vale per Enrico Berlinguer e per altri personaggi divisivi, ammirati solo da una parte della popolazione. Anche le vie, le scuole e gli ospedali dedicati a Sandro Pertini ricordano un presidente amato da mezza Italia e indigesto all’altra metà. E a chi obietta che Pertini oltre che un personaggio storico della Resistenza fu anche presidente della Repubblica, vorrei ricordare che gran parte dei suoi predecessori e dei suoi successori, anche degni, non ebbero l’intitolazione di strade e luoghi pubblici.
Nel bene e nel male Berlusconi è stato uno dei personaggi più importanti d’Italia nell’ultimo mezzo secolo, sia come imprenditore che come impresario politico, e tre volte presidente del Consiglio; divergono, e radicalmente, i giudizi su di lui ma certo ha segnato un’epoca e ha dato il nome a un ventennio della nostra storia. Per taluni conta in negativo lo «sputtanamento» dell’Italia nel mondo con Berlusconi. Per altri, sono determinanti i guai giudiziari in cui fu a lungo coinvolto, anche se in gran parte dei casi uscì indenne dai processi e dalle accuse. Pure le vicende giudiziarie hanno la loro importanza ma il giudizio «storico» su di un personaggio deve considerare più fattori e non uno solo; non si può fare la storia d’Italia a colpi di sentenze e titoli dei giornali; e non possono essere i magistrati a decidere, a parte i loro orientamenti ideologici, chi ricordare e chi cancellare. C’è poi un’altra questione da considerare: nella storia della repubblica italiana, oltre De Gasperi ed Einaudi, Togliatti e Moro, molti leader importanti non hanno avuto l’intitolazione di strade e pubblici edifici.
Pensate a Fanfani, Craxi, Andreotti, per citare alcune figure più recenti; o pensate ai vari tentativi di intitolare strade ad Almirante, quasi sempre bloccati (ma non mancano vie dedicate al leader missino). L’unico criterio assoluto che non ammette discussione ed è usato come un’ascia, è tra antifascisti e fascisti, anche presunti o in odore di fascismo.
Su alcuni politici grava la pregiudiziale «mani pulite»; ma anche in questo caso il criterio giudiziario non può da solo decidere i dannati e i premiati; se si applicassero criteri moralistici e giudiziari di vario tipo, sarebbe una strage di grandi nella storia, incluso Mazzini; resterebbero a malapena i santi, ma anche contro di loro si accanisce la furia laicista e anticlericale. Tornando invece alla politica, pensate alle disparità di trattamento degli altri leader: ci sono strade dedicate in tutta Italia a La Malfa o Jotti ma non a Malagodi, Pacciardi o Pannella, per restare in ambito laico. A volte ha prevalso una sorta di lottizzazione toponomastica, per cui a ogni via dedicata a Moro, Sturzo o De Gasperi dovesse corrispondere un Pertini, un Nenni, un Berlinguer, un La Malfa o un Saragat. Era il tempo del consociativismo.
Non si può stabilire un criterio il più possibile oggettivo per decidere l’intitolazione di strade? Forse il primo criterio dovrebbe essere quello di lasciar decantare il tempo e i giudizi ancora a caldo: se un personaggio viene riconosciuto in modo unanime o senza nessuna rilevante opposizione, si proceda pure. Ma in caso di controversia, si lasci passare il tempo di una generazione per verificare se la sua fama resiste all’oblio e all’usura del tempo; e poi con gli anni il giudizio storico si fa più sereno e avveduto.
È un criterio saggio, di buon senso, anche se non sempre il passare del tempo rende più saggi e sereni i giudizi, meno pervasi dalla fazione e dall’ideologia: tornando al fascismo, è indubbio che col passare del tempo si è inasprito il giudizio, valutazioni e revisioni storiche che negli anni Ottanta erano ammesse e riconosciute sono diventate oggi proibite. Al punto da suggerire ad alcuni sindaci di revocare strade dedicate a uomini illustri che però furono «contaminati» dal fascismo: ieri quell’ombra non era così ingombrante come invece accade oggi.
Il secondo criterio, più in uso, è quello di far digerire un’intitolazione avversata, facendo passare, allo stesso tempo, in una specie di «do ut des» toponomastico, un’altra intitolazione di segno opposto, gradita ai nemici della prima. Sarebbe un modo per tornare alla lottizzazione della memoria e al manuale Cencelli su strada. E poi c’è la questione della parità, mancano vie dedicate alle donne. Insomma, come ci si dovrebbe comportare sull’intitolazione dell’aeroporto a Berlusconi (a cui forse sarebbe stato più confacente uno stadio o un luogo televisivo)? Si può sorvolare, è il caso di dire, o sospendere la pratica, di fatto arenandola, ingoiarla; oppure bilanciare la sua intitolazione con un’altra dedicata, che so, a Borrelli, il capo del pool di Mani pulite o impegnandosi a dedicarla - post mortem - anche al suo antagonista politico Romano Prodi...
Le battaglie di toponomastica sono gli ultimi residui delle identità, delle appartenenze e delle passioni politiche, ormai sbiadite. Nessuno sogna più nuove vie, sicché restano solo i nomi delle strade. La storia è finita sul marciapiede.