La normativa Ue mette a rischio l’esistenza del canale di Caluso
Caluso
La nuova normativa Europea in materia di deflusso minimo vitale (ora chiamato ecologico), ovvero l’acqua rilasciata dal canali irrigui di derivazione di fiumi e torrenti, potrebbe portare a morte un sistema come quello del canale demaniale di Caluso che esiste da 500 anni e che rappresenta la ricchezza di una fetta di Canavese, provvedendo all’irrigazione dei terreni agricoli ed alla produzione di energia elettrica.
Acqua che i consorzi pagano. Il canale di Caluso versa alla Regione Piemonte per l’uso dell’acqua a scopo agricolo ed idroelettrico circa 230 mila euro l’anno. La forte preoccupazione arriva quindi dai vertici del Consorzio, che ha sede in via Trieste. «È arrivato il momento di fare i conti con la realtà – spiega il presidente Lodovico Actis Perinetto - Dal 2025 tutti dovranno rilasciare un deflusso molto più elevato, in quanto la nuova norma prevede che i rilasci siano da quantificarsi in base a differenti parametri: tra i più importanti la naturalità del corpo idrico e la qualità delle acque, e con coefficienti differenti nei mesi dell’anno. Ciò metterà in crisi molte realtà produttive, sia della produzione di energia elettrica, sia nel mondo agricolo. Per ovviare a questa difficoltà c’è la possibilità di aderire a una sperimentazione, almeno triennale, che possibilmente sia condivisa con tutti gli attori operanti sul corpo idrico, allo scopo di monitorare specifici parametri per verificare se siano possibili minori rilasci, o se si possa mantenere la misura precedente. Nello specifico la Regione Piemonte ha posto un limite oltre il quale non può scendere il rilascio, che è il 60% del deflusso ecologico. La sperimentazione deve essere organizzata secondo linee guida regionali e approvata con delibera di giunta, dopo essere stata approvata dagli enti pubblici preposti. C’è poi da considerare un altro fatto importante».
Quale?
«Occorre tenere presente che non tutti i corpi idrici italiani si trovano nelle condizioni di essere classificati in stato insufficiente. Anzi, molti, come ad esempio il torrente Orco, da cui il canale di Caluso prende l’acqua, è attualmente censito, secondo indagini fisico chimiche e ambientali effettuate da Arpa Piemonte, in stato buono. Pertanto un’applicazione pedissequa che lo paragoni a altri corsi d’acqua che non sono nello stesso stato ha il sapore della beffa nei confronti di coloro che hanno operato negli anni lungo il torrente permettendo così la sua salvaguardia ambientale»
In che modo allora pensa di agire il Consorzio?
«Stiamo predisponendo un protocollo d’intesa che permetterebbe di dare avvio ad una sperimentazione triennale, replicabile per un altro triennio, in funzione delle condizioni annuali di disponibilità idrica, permettendo attraverso indagini costanti e analisi in diversi tratti dell’Orco, pagate dal consorzio e dalle società idroelettriche, di avere condizioni di partenza che permettano di operare con tranquillità».
Il fattore legato alla qualità dell’acqua del canale e alla presenza lungo il suo corso di 15 centraline idroelettriche potrebbe giocare un ruolo?
«Certamente. Non si sta infatti prendendo in considerazione che le società hanno investito ingenti risorse economiche, non solo per produrre energia pulita e locale, ma anche per attuare opere di restauro di ampi tratti del canale, che è di proprietà della Regione. Ma soprattutto va detto che il canale di Brissac è uno dei pochi corpi idrici artificiali, il cui stato è buono. E di conseguenza dovrebbe essere, di fatto, considerato alla stregua di qualsiasi corpo idrico naturale del Piemonte. Inoltre, la presenza dell’acqua nel canale non è fondamentale solo per le attività produttive, ma anche in quanto la sua esistenza dal lontano 1550, ha modificato tutta la realtà orografica del basso Canavese e ha sviluppato una biogenesi specifica, in equilibrio con l’ambiente dimostrando di essere resiliente ai cambiamenti da quasi 500 anni. È quindi un patrimonio da difendere».