Parigi e la figura di fango (della Senna)
Dall’imbarazzo alla rabbia il passo è stato breve. Ora Parigi è passata direttamente alla vergogna per quanto sta accadendo lungo le rive della Senna e per quello che potrà avvenire da qui al 4 agosto, giorno di chiusura delle Olimpiadi. Il tema è semplice: riusciranno gli atleti del triathlon a giocarsi le medaglie senza dover passare direttamente al duathlon, cancellando la prova di nuoto? E quelli del nuoto da fondo, a partire da sua maestà Greg Paltrinieri, gareggeranno lì oppure dovranno reinventarsi in un altro sito olimpico, chissà dove e chissà quando?
Una brutta figura mondiale prevedibile ma che la voglia francese di stupire sempre e comunque ha concretizzato nonostante ci fossero tutti gli elementi per considerarla scontata. La Senna non è mai stata balneabile negli ultimi cento anni, si insinua nel cuore di una capitale da oltre due milioni di abitanti che si moltiplicano per l’afflusso di lavoratori e turisti 365 giorni all’anno. Immaginare che potesse diventarlo all’improvviso per due settimane, pur avendo profuso uno sforzo da 1,5 miliardi di euro per raggiungere l’obiettivo, era come minimo rischioso e poco realistico.
Tanto le Olimpiadi di Macron hanno messo in campo per riuscire nell’impresa. Soldi in larga parte pubblici oppure spesi dai parigini per adeguarsi alle normative, collegare tutto e tutti alla rete fognaria, attivare una vasca di contenimento (il cosiddetto bacino di Austerlitz) grande quanto 12 piscine olimpioniche, costato da solo 90 milioni di euro e inaugurato a poche settimane dal via dei Giochi. Tutto inutile. Sono bastati due giorni di piogge intense, quelli della cerimonia inaugurale del 26 luglio, dopo una primavera tutt’altro che clemente per restituire la Senna alle vecchie abitudini centenarie. Inutili, quindi, anche i bagni propagandistici della sindaca Anne Hidalgo, del capo del comitato organizzatore e del prefetto. Nella Senna non si nuota. Punto.
La ragione è semplice e disperante allo stesso tempo: non si nuota perché inquinata da un secolo di convivenza forzata con l’antropizzazione spinta dell’area che la circonda. I livelli di batteri presenti nelle acque, a partire dal famigerato Escherichia Coli, non sono compatibili con l’attività natatoria normale, figuriamoci con quella di atleti che hanno lavorato per un quadriennio per arrivare a giocarsi tutto a Parigi.
Non essendoci nulla di inatteso, sarebbe bastato scartare a priori l’idea di fare lì le gare di triathlon e nuoto di fondo spostandole altrove. Dove c’è il mare, ad esempio. Ma i francesi che sono impegnati in uno spottone della propria capitale, come si capisce anche dalle regie degli eventi all’aperto quasi più attente a mostrare cartoline di monumenti che atleti in gara, non ne hanno voluto sapere.
Il risultato è che, rinvio dopo rinvio, si rimane appesi alle condizioni del meteo e ai prelievi con analisi delle acque, condotti quotidianamente sperando di rientrare almeno per qualche ora nei limiti di sicurezza per la salute dei nuotatori. I quali osservano con sempre minor pazienza e la crescente sensazione di essere stati presi in giro e considerati uno spiacevole allegato di tutta la vicenda. Non i protagonisti centrali. Ma che così dovesse andare a Parigi 2024 lo si era capito già dalla cerimonia inaugurale, cucita su misura per trasmettere al mondo la grandeur transalpina.