Il paradosso di Tajani che vuole il voto cattolico ma manda avanti l’autonomia differenziata
Curiosa la foto che è stata proposta dalle principali testate, scattata al raduno Agesci che si è tenuto a Verona nei giorni scorsi. Lo scenario è il più importante ritrovo dello scoutismo e ritrae Antonio Tajani (ministro degli Affari Esteri, Vice presidente del Consiglio, segretario di Forza Italia) e il Cardinale Matteo Zuppi (arcivescovo metropolita di Bologna e presidente della Conferenza Episcopale Italiana). Il primo è uno dei firmatari del “patto scellerato”: per assicurare la “stabilità” di governo, le tre principali forze si sono reciprocamente garantite l’approvazione dei rispettivi cavalli di battaglia (il premierato Fratelli d’Italia; l’autonomia differenziata la Lega; la separazione delle carriere dei magistrati Forza Italia). Poco importa se una riforma risulti sgradita alla base di uno dei partiti o, addirittura, confligga con il programma del partito stesso: pacta sunt servanda, costi quel che costi (coerenza, integrità, consenso immediato); l’importante è portare a casa il risultato; in fondo c’è in gioco il potere, e cosa importa delle sorti della Repubblica e del popolo Italiano?
Nel caso specifico dell’autonomia differenziata, Antonio Tajani sa benissimo che la fedeltà al patto crea non pochi mal di pancia al proprio partito (a cominciare dalle prese di posizione del presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto, che – dopo aver doverosamente sostenuto la “secessione dei ricchi” quando era ancora e solo ddl Calderoli – ha finalmente realizzato l’entità del danno che essa recherebbe alle/ai calabresi e chiede a gran voce preliminarmente la garanzia dei Lep, livelli essenziali di prestazione). Per inciso: ai banchetti per la raccolta di firme per il referendum contro la legge Calderoli, molti elettori di Forza Italia non solo firmano, ma si attardano a sottolinearne l’inaccettabilità.
Il cardinal Matteo Zuppi, presidente della Cei, è stato invece – nel corso degli ultimi anni – un avversario severo e intransigente della riforma Calderoli. Basti pensare – ma è solo uno degli esempi più recenti – all’importantissima nota pubblicata dalla Conferenza episcopale lo scorso maggio, che scatenò una inconsueta quanto irrituale e scomposta reazione del ministro Calderoli.
Alla domanda di un giornalista dell’Arena di Verona (“In Veneto tiene banco il tema dell’autonomia, che è legge. Ma l’assessore leghista veneto Marcato ha detto che se passa il referendum abrogativo, grazie anche a Fratelli d’Italia e a Forza Italia, la Lega dovrebbe uscire dal governo. Che cosa replica?”) il segretario Tajani ha risposto:
“Il governo è una cosa seria. E un assessore regionale non credo possa dire quanto dura. Nessuno ha mai detto che vogliamo un referendum abrogativo, ma vigileremo sull’applicazione dell’autonomia differenziata. Il che non significa certo che non la vogliamo. Noi di Forza Italia abbiamo detto che prima si fanno i Lep, i Livelli essenziali delle prestazioni, in tutte le regioni, poi si fa l’autonomia. Poi su materie come il commercio internazionale bisogna vigilare, per non fare danni alle imprese. L’abbiamo votata in Consiglio dei ministri e in Parlamento, la legge sull’autonomia, e noi siamo sempre coerenti, con il diritto di esprimere le nostre idee”.
Ecco, appunto. L’hanno votata in Parlamento (la legge 86 è stata definitivamente approvata il 26 giugno scorso), pur sapendo che il dispositivo di Calderoli non implicava alcun tipo di assicurazione non sulla determinazione, ma sulla realizzazione dei Lep: una sostanziale differenza, che implica una stanziamento di risorse per garantire prestazioni essenziali su tutto il territorio nazionale (il che è ben diverso da quanto prescritto dal c. 3 dell’art. 3 della Costituzione, ma questo è un altro discorso). E’ evidentemente in atto un’azione di “disturbo” (eufemisticamente parlando) nei confronti della Lega da parte di Forza Italia per assicurarsi un rapporto privilegiato con il mondo cattolico (Cisl compresa); depotenziando il dispositivo dell’autonomia differenziata attraverso non un contrasto dichiarato, ma piccole e puntuali azioni di sabotaggio; ricompattando gli insofferenti gruppi parlamentari e assicurandosi un vantaggio considerevole sul competitore più diretto all’interno della maggioranza, la Lega.
Ci si interroga sul senso delle dichiarazioni di Tajani: in cosa consisterà la “vigilanza” esercitata sull’applicazione dell’autonomia differenziata, soprattutto sulla base delle dichiarazioni di Zaia e Calderoli, pronti a recepire le richieste di materie non Lep da parte delle regioni a partire dal prossimo settembre? Non sa il ministro Tajani che l’inizio della devoluzione di alcune materie alla potestà legislativa delle regioni aprirà un iter – quello delle intese – che difficilmente potrà essere interrotto, intralciato, messo in stand-by, soprattutto mentre la riforma del premierato (fortissimamente voluta da Meloni e Fratelli d’Italia) urge e la Lega rappresenta una pedina indispensabile per portarla avanti?
L’Italia, cui la compagine condotta da Tajani fa riferimento esplicitamente sin dal suo nome, è la “Repubblica democratica fondata sul lavoro” o un insieme di repubblichette a marce differenti, come quella profilata dalla Lega e dalla sua de-forma dell’autonomia differenziata? Pensa davvero Antonio Tajani che le pur apprezzabili dichiarazioni sullo ius scholae possano contrastare l’avversione che l’elettorato del Sud di Forza Italia (e non solo), ma perfino ampi settori della Confindustria – stella polare degli ‘italoforzisisti’ – stanno dimostrando nei confronti dei piccoli governatorati voluti da Calderoli e dalla Lega, fonte di disuguaglianze e burocratizzazione?
Infine: i leader del centrodestra – per attirare il voto moderato – strumentalizzano il rapporto con la Chiesa cattolica, usando furbescamente chi lo ius scholae, chi la natalità. Il gioco è troppo scoperto per ‘adescare’ coloro che sono ormai consapevoli che bisogna sia garantire la cittadinanza a chi è venuto in Italia, sia assicurare a tutti/e i diritti universali, abrogando la legge Calderoli.
L’augurio è che la risposta a queste – tra le tante – domande possa pervenire in maniera inconfutabile e senza infingimenti. E’ in gioco il destino della Repubblica; sono in gioco diritti sociali e civili, che rappresentano la massima garanzia della dignità della persona umana (la dicitura di matrice cattolica che attraversa il dettato della Carta). Il gioco dell’ambiguità in una situazione tanto drammatica e irreversibile, qualora il referendum non raggiungesse l’obiettivo da tanti/e sperato, rappresenterebbe una responsabilità incancellabile, un’ombra drammatica e pesantissima sui complici del progetto eversivo dell’autonomia differenziata. In più: si tradirebbe quell’elettorato del Sud, ma non solo, che sta chiaramente (nelle assemblee, negli incontri che si stanno organizzando sui territori a sostegno del referendum abrogativo, presso i banchetti) esprimendo una netta presa di distanza dall’autonomia differenziata.
L’auspicio è che la stretta di mano cordiale con il cardinale Zuppi incoraggi Tajani a tentare concretamente un’inversione di marcia rispetto agli ordini da lui stesso impartiti a deputati e senatori nel corso del dibattito parlamentare di sottostare ai dettami della Lega; ora dimostri con atti politici e parlamentari che vuole rinunciare ai “pagherò” delle promesse di potere per andare incontro agli interessi delle popolazioni meridionali e di voler farsi promotore dei diritti costituzionali: alle parole seguano i fatti.
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