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Август
2024

Elena Cerkvenič: «Qui a Trieste ho potuto essere libera pur essendo matta»

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TRIESTE “Sono nata il ventuno a primavera / ma non sapevo che nascere folle / aprire le zolle / potesse scatenar tempesta”. Sono versi della celebre poetessa Alda Merini, nel corso della sua esistenza internata più volte per disturbo bipolare. Ma il 21 marzo è anche la data con cui si apre la biografia narrata “Sono schizofrenica e amo la mia follia” (Meltemi, pag. 128 euro 12) di Elena Cerkvenič, autrice triestina che, come afferma Peppe Dell’Acqua in postfazione, è anche la voce che dà avvio alla collana “180” di Meltemi. Il libro verrà presentato domani, alle 15.30, nella sala della Comunità Greco Orientale (Riva Tre Novembre 7) dall’autrice con Florentia Corsani, letture del gruppo “Le Voci” dell’associazione Luna e l’Altra che cura l’evento.

Il titolo è già chiaro, si parla appunto di schizofrenia e di disturbi mentali in genere. Non fosse per quella congiunzione che aggancia la follia a un gesto d’accoglienza, d’amore. Si gioca lì il motore del testo. Elena con stile diaristico (dal 21 marzo al 27 agosto del 2020) racconta la sua storia. Ma di storie così ce ne sono diverse. È appunto lo stato, la prospettiva nel guardare la malattia che fa aderire, paradossalmente, la follia alla vita.

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Così Cerkvenič ci racconta come e quando è iniziata. La prima grave crisi fu in Germania, a Monaco di Baviera, quando ancora era docente di tedesco. Dopo di che l’autrice torna al presente, sposata con Vittorio, madre di Thomas, Elena narra i piccoli gesti della sua quotidianità. Ed è in queste pieghe che si insinua la malattia, può manifestarsi con pensieri ossessivi, tragici. Ma può anche comparire con sintomi diversi, magari provando un senso di enorme affaticamento per piccole azioni abitudinarie, perfino la spesa può diventare un ostacolo insormontabile.

Se all’inizio può essere incomprensibile il motivo di tanto descrizionismo (nei minimi particolari viene descritta anche l’azione di bere un bicchiere d’acqua o di lavare un’insalata), di pagina in pagina si capisce come è proprio quel tipo di scrittura chirurgica a renderci partecipi di una cosa: cosa significhi stare male, quali le conseguenze di un disturbo mentale che ti impedisce quasi ogni possibilità di azione e di comunicazione. Insomma nei periodi di buona salute (o di “giornate limpide dentro”, come le definisce la scrittrice), anche ascoltare la dilatazione del proprio respiro rappresenta un attimo di felicità.

Nel libro molti sono quegli attimi, cose cui la gente comune non fa caso, mentre qui, in “Sono schizofrenica”, la parola “piacere” e “gioia” sono tra le più gettonate. Magari solo per aver visto piccole margherite sbucare dall’erba. O per essersi incontrati con un gruppo di amici, per aver bevuto un bicchiere d’acqua fresca. Di fatto Elena di cose ne ha fatte molte e continua a farle.

Nei periodi buoni e soprattutto grazie ai centri di salute mentale triestini, è stata in grado di “dominare” la sua malattia. Lo ha fatto grazie alla libertà, innanzitutto, di muoversi e rimanere tra i suoi famigliari, di avere a disposizione dei professionisti che ascoltano e che credono nel suo potenziale umano, intellettivo e sociale. D’altra parte capita in poche città che la propria psichiatra si unisca all’utente per un aperitivo, conversando in un caffè storico come due vecchie amiche. «Ho potuto essere libera, qui a Trieste, pur essendo matta», scrive. «Questa è la psichiatria basagliana. Che mi ha aiutato a capire che vivere si può, e bene, nonostante tutto, prendendo per mano la malattia e non lasciarsene schiacciare».

Apprezzabile inoltre l’audacia nel comunicare che non sempre c’è la stessa disponibilità da parte dei medici, anche se Cerkvenič confessa solo in un caso di essersi sentita profondamente a disagio (con uno psichiatra inabile all’ascolto). Per lo più tutti gli addetti alla salute mentale sono descritti nella loro competenza, soprattutto capacità di guardare alla persona, più che alla malattia: da Mario Colucci a Peppe Dell’Acqua, da Francesca Bertossi a Matteo Impagnatiello e molti altri. È anche grazie a loro che da anni Elena è tra le più attive operatrici culturali della città, soprattutto nell’avvicinare la lingua e la cultura slovena a quella italiana.

Perché rendere pubblico tutto questo? La propria vita, la malattia? si chiedeva in un primo momento Francesca de Carolis, che firma la prefazione «Perché voglio che si sappia che è possibile farcela. Che con la malattia si può convivere, che nonostante tutto si può vivere, e io vivo. Vivo anche una vita normale, e lo voglio far sapere, per aiutare chi magari pensa di non farcela...» è la risposta di Elena Cerkvenič.

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