I distopici passaggi al nuovo digitale terrestre al tempo dello streaming
La TV è morta. Viva la TV. Viviamo in un’epoca storica in cui ogni novità tecnologica attira inesorabilmente la curiosità dell’opinione pubblica. Accade, oramai, per ogni oggetto che fa la sua comparsa sul mercato. Non accade, invece, per quel che riguarda le trasmissioni televisive e gli strumenti necessari per adeguarsi ai nuovi standard (come il nuovo digitale terrestre e tutte le sue mutazioni). Gli italiani, infatti, “subiscono” passivamente la necessità di adeguarsi a mezzi più innovativi (che hanno anche un costo, visti i pochi bonus statali per l’acquisto di nuovi apparecchi). Ma perché tutto ciò avviene in un’era in cui a farla da padrona è lo streaming online?
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Quel che accade da oggi è solo l’ennesimo step di una perenne (ed eterna) rincorsa da parte di chi trasmette contenuti in televisione. Soprattutto per “colpa” dei legislatori (e non solo quelli italiani). È ovvio che l’evoluzione tecnologica porti a novità in grado di consentire una migliore fruizione dei programmi in onda in TV, ma è altrettanto palese che i cittadini oggi hanno in mano una serie di soluzioni differenti che consentono loro – a differenza di ciò che accadeva in passato – di scegliere non solo “cosa”, ma anche “come” vedere la televisione.
Il nuovo digitale terrestre al tempo dello streaming
Non neghiamo l’importanza dell’applicazione dello standard DVB-T2 e il matrimonio con la codifica HEVC che consente una maggiore (o analoga) resa in termini di qualità e una maggiore possibilità di compressione dei file video. Ma tutte queste novità sono realmente necessarie? Perché la TV resta il mezzo più utilizzato in Italia, anche se la porzione di popolazione che lo utilizza è molto ridotta e si è frammentata nel tempo.
Novità che, invece, non si riscontrano nel mercato delle piattaforme OTT o dei fornitori dei servizi di streaming (VoD, Video on Demand), gratuiti o a pagamento. Pochissimi gli aggiornamenti tecnici registrati nel tempo, basandosi su un sistema di trasmissione molto più dinamico e al passo con i tempi. Basti pensare alle CDN (Content Delivery Network): ne esistono di più buone o di meno buone, ma il loro funzionamento è sempre lo stesso. E c’è da sottolineare che, a differenza delle nuove tecnologie che portano ai costanti cambiamenti nella trasmissione (e fruizione) televisiva, quando una CDN cambia qualcosa al suo interno, l’utente finale/telespettatore, non deve correre ad acquistare un nuovo televisore o un nuovo decoder.
Le storture
Ed eccoci al punto focale della questione. Oggi, con il nuovo digitale terrestre molte persone potrebbero addirittura rinunciare alla visione del mezzo televisivo, optando proprio per i servizi di streaming. Ma qual è la situazione? La televisione pubblica – l’emblema di questi cambiamenti – non riesce a premere sul pedale dell’acceleratore, reclamizzando solo per lo “stretto necessario” il ruolo presente, futuro e futuribile di una piattaforma come RaiPlay. E, infatti, c’è un’emorragia di pubblico anche da lì, come certificato dal più recente report dell’Osservatorio sulle Comunicazioni di Agcom.
Rispetto alle rilevazioni e agli anni precedenti, è in calo sia il numero degli utenti unici che frequentano la piattaforma (o l’app) di RaiPlay, sia il numero di ore (in milioni) trascorse tra i contenuti offerti nella sua versione digitale dalla televisione pubblica. Comprese le dirette.
Visto il continuo mutamento del panorama, forse occorrerebbe – a partire dalle emittenti pubbliche – puntare molto più sul digitale e sullo streaming, dove basta una CDN adeguata per trasmettere senza problemi e senza necessità di correre dietro agli aggiornamenti. Anche perché, non tutti gli italiani – alla prossima occasione – spenderanno svariate centinaia di euro per acquistare nuove televisioni in grado di supportare i nuovi standard.
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