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Август
2024

L’artigianato custodisce un pezzo di noi

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È sempre più complicato trovare chi possa riparare e non obblighi solo a buttare gli oggetti danneggiati e ricomprarli nuovi. Ma oltre al piano pratico questa crisi è anche culturale.

- e come sono già andate - tra pochi anni, diciamo una decina, sarà molto difficile trovare un idraulico che ti aggiusti un rubinetto, un fabbro che ti aggiusti il cancello, un serramentista che ti aggiusti la finestra, cioè qualcuno che venga presso la nostra abitazione o nel luogo dove lavoriamo, qualcuno che sia in grado di eseguire un intervento di riparazione o di manutenzione. Qualcuno che ti aggiusti qualcosa che si è rotto senza doverlo comprare nuovo e poi, magari, provare a farlo da soli come succede con i mobili dell’Ikea. Solo che con quei mobili sono allegate delle istruzioni generalmente a prova di cretino, nel caso di un rubinetto o di una porta o finestra le istruzioni non ci sono e da solo sarà ben difficile che ci si faccia.

Il quadro disegnato dall’Ufficio studi della Cgia di Mestre è sconfortante. Solo in Toscana la situazione è bell’e compromessa. Negli ultimi 11 anni sono scomparsi diecimila artigiani solo nella provincia di Firenze: fra il 2012 e il 2023 quelli in attività sono passati da 41.942 a 32.228, il 23,2 per cento in meno. Non fanno meglio le altre province della Toscana. Solo ad esempio Lucca è quella che ha avuto in termini percentuali il maggior calo di artigiani, con un -30,8 per cento piazzandosi al terzo posto in Italia. E stiamo parlando di una regione che, nel settore, è sempre stata molto feconda di ditte individuali e piccole imprese, anche esportando all’estero e collaborando alla nostra bilancia dell’export complessiva in modo molto significativo.

Se allarghiamo lo sguardo all’intera Italia la situazione non cambia, sia pure con differenze regionali, anche perché mentre il cosiddetto «prodotto artigianale tipico». Si tratta comunque della difficoltà a reperire sul mercato giovani disposti a fare gli autisti, autoriparatori, sarti, pasticcieri, fornai, parrucchieri, estetiste, idraulici, elettricisti, manutentori delle caldaie, tornitori, fresatori, verniciatori, battilamiere, carpentieri, posatori e lattonieri. Tutte quelle figure delle quali sia le imprese sia le famiglie hanno - avrebbero - bisogno di continuo. Non si tratta quindi di un argomento di poco conto. Se nel 2012 erano poco meno di 1.867.000 unità, nel 2023 la platea complessiva di quasi 410 mila soggetti (meno 73 mila nell’ultimo anno), in conclusione ora il numero sfiora quota 1.457.000. Cifre impressionanti, soprattutto considerando l’arco temporale strettissimo in cui tutto ciò è avvenuto. Questa tendenza si è interrotta solo nell’anno post-Covid con un +2.325 tra il 2021 e il 2020, ma questo non fa testo. Né la situazione è differente per le imprese artigiane che nel 2008 (anno d’oro del secolo) in Italia le imprese artigiane erano 1.486.559, nel 2023 si sono fermate a quota 1.258.079.

Ormai in Italia abbiamo più avvocati che idraulici - è sempre la Cgia di Mestre a segnalarcelo: 237 mila avvocati contro 180 mila idraulici. Per sturare un lavandino chiameremo un amministrativista, per aggiustare il letto un matrimonialista, per la grondaia un penalista sollecitato dall’inquilino del piano di sotto? Non tutti gli artigiani risentono della crisi. Per esempio sono ricercati quelli che si occupano del benessere e gli esperti in informatica: stanno esplodendo di richieste varie professioni in quest’ultimo comparto produttivo, dai sistemisti a chi fa web marketing, dai video maker agli esperti di social media.

Non va così male neanche per altre attività presenti soprattutto nelle città a vocazione turistica, come le gelaterie, «pulitintolavanderie» a gettone, le pizzerie, in particolare da asporto. Perché tutto questo? Quali sono i motivi di questa vera crisi del settore? Certamente l’invecchiamento progressivo della popolazione artigiana provocata in gran parte dal mancato ricambio generazionale. Certamente il boom del costo degli affitti e altrettanto certamente l’aumento delle tasse nazionali e locali che non rende più profittevole questi mestieri.

È tutto vero: ma c’è una ragione più profonda che consiste nella svalutazione culturale spaventosa avvenuta negli ultimi 40 anni nei confronti del lavoro manuale. Occorre irrobustire fortemente il recupero di istituti di formazione professionale che formino per i mestieri che mancano e non astrattamente per quelli verso i quali non c’è domanda. E anche lo scambio scuola/lavoro che, in qualche modo, rimpiazzi la mancanza della bottega dove il giovane imparava il mestiere direttamente insegnato dall’artigiano più anziano. Tutto questo si può fare e alcune esperienze sparse per l’Italia lo dimostrano. È un dovere urgente farlo, perché nella nostra economia l’artigianato ha avuto un ruolo cruciale. E può continuare ad averlo. n © riproduzione riservata




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